In questo gennaio 2015 il ventiseiesimo Trieste Film Festival, appena conclusosi, ha saputo trasmettere al pubblico soprattutto la forza e il coraggio di andare avanti. Le pellicole presentate, infatti, non solo hanno dimostrato la grandezza dei talenti emergenti, ma sono riuscite ad arrivare al cuore dello spettatore con tematiche anche forti trattate con rispetto e delicatezza.
Non sono supereroi o personaggi vincenti quelli che si sono alternati sullo schermo della Sala Tripcovich e del Teatro Miela di Trieste, ma semplici esseri umani che, per destino o scelte sbagliate, si trovano costretti a superare una serie di difficoltà e a prendere decisioni radicali.
Gli argomenti analizzati spaziano dallo stato di malattia, che si cerca di superare aggrappandosi disperatamente al proprio passato, come nel caso dell’anziano al centro del cortometraggio animato La valigia, di Pier Paolo Paganelli, che, soffrendo di Alzheimer, tenta di recuperare la propria esistenza attraverso una valigia piena di ricordi, alla crisi di identità, non causata da malattia, ma dall’applicazione, da parte dello stato in cui si vive, di leggi di ispirazione medievale. È questo il caso del documentario, indipendente e clandestino, Den’ Pobedy (Il giorno della vittoria), di Alina Rudnickaja, incentrato sul sentimento omofobo istigato dalla legge anti gay del 2013 che fa sentire le persone chiuse in gabbia.
Di grande impatto, per come dimostra quanto sottile sia la linea di demarcazione tra il bene e il male soprattutto quando la vita ti mette alle strette e l’unica soluzione possibile sembra essere un atto criminale, Urok (La lezione), dei bulgari Kristina Grozeva e Petar Valchanov, che narra le tristi vicissitudini di un’insegnante alle prese con un debito usuraio da onorare e con una serie di furti nella scuola dove lavora per cui si ripromette di dare una punizione esemplare al responsabile. L’impossibilità di pagare il debito la spingerà a un gesto estremo, generando un netto contrasto con la lezione di moralità che, invece, cerca di impartire al ragazzino che ruba a scuola.
Poslednata Lineika Na Sofia (L’ultima ambulanza di Sofia), di Ilian Metev, documentario sulla vita di tre paramedici di Sofia: il dottor Krassimir Yordanov, l’infermiera Mila Mikhailova e il guidatore Plamen Slavkov, affascina per il suo entrare in contatto diretto con la realtà quotidiana. L’obiettivo che si pone, infatti, è mostrare le difficoltà in cui sono costretti a operare i tre protagonisti e, in particolare, evidenziare il grosso problema delle ambulanze nella capitale bulgara, appena tredici per soccorrere oltre un milione di abitanti. La visione del documentario permette di comprendere anche la passione alla base del lavoro di questi paramedici, che cercano in tutti i modi di non arrendersi e di svolgere al meglio la loro professione, malgrado una serie di ostacoli che, a volte, sembrano quasi insormontabili.
Diversamente strutturato, ma imperdibile per come ritrae il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, Bande de filles (Una banda di ragazze), di Céline Sciamma, già distintasi per Tomboy, in cui la sedicenne Marieme, in rotta con la scuola e costretta a subire le angherie del fratello maggiore, si unisce a un gruppo di ragazze che rifiutano di sottostare a qualsiasi regola per dettare la loro legge e rivelarsi più violente e combattive dei maschi. Ragazze che, però, sanno anche divertirsi e trovare nel gruppo il coraggio di sopravvivere. Sono tutte giovani di colore delle banlieues francesi, e non è un caso che la regista si focalizzi proprio su di loro, a cui la vita sembra aver negato tutto costringendole a crescere in fretta in un ambiente problematico.
Da segnalare, infine, la pellicola, presentata in anteprima italiana e vincitrice del Premio Trieste al miglior lungometraggio in concorso, Simindis Kundzuli (L’isola del granturco), del georgiano George Ovashvili, dove una delle piccole isole create dal terreno fertile trasportato dal fiume Inguri viene occupata da un nonno e dalla nipotina diventando pian piano metafora del ciclo della vita e della morte a cui non si può sfuggire. Un film di atmosfera dove i silenzi contano più delle parole e dove i momenti di tensione sono determinati dalle “visite” delle pattuglie che perlustrano il confine tra Georgia e Abcasia mettendo in risalto un conflitto mai sopito.
Il Trieste Film Festival rappresenta dunque, per lo spettatore e per la città stessa, una preziosa fonte di arricchimento interiore che ogni anno si rinnova portando sul grande schermo piccoli tesori cinematografici che, altrimenti, rischierebbero di passare inosservati.
Mai stato a Trieste.