C’è la crisi, c’è la crisi, c’è la crisi, ci dicono ogni giorno. Ci dicono che per uscire dalla crisi dobbiamo tornare ad essere competitivi, essere più rapidi, più produttivi, perennemente connessi. Pochi dicono, però, che la crisi è, al pari di una malattia, un campanello d’allarme, che dovrebbe spronare ciascuno di noi a fermarsi, a mettersi in discussione, a cambiare abitudini e stili di vita. Abbiamo la febbre perché abbiamo corso troppo, esposti al vento, al gelo, e per guarire ci dicono di correre ancora di più, senza cambiarci la maglietta, o a petto nudo, entrare nella bufera. Eppure le nostre madri ci hanno sempre detto di coprirci, dopo una corsa. Le nostre madri avevano ragione, o no?

La rivoluzione della viandanza

Noi pensiamo che non sia più il tempo delle corse. Dobbiamo rallentare, fermarci, toglierci la maglietta madida di sudore, asciugarci, indossare una maglia, una giacca, sederci su una panchina, godere del riposo, riflettere, fare spazio affinché altri vi si possano sedere. Il Festival della Viandanza noi lo immaginiamo proprio così: una strada pubblica, accessibile a tutti, larga abbastanza da accogliere camminatori, ciclisti, carrozzelle, carovane con animali al seguito, chiunque non abbia fretta, e poi panchine comode, lunghe, in cui potersi stendere, uno accanto all’altro, per pensare, chiacchierare, stare semplicemente – ma quanto sono difficili le cose semplici – in silenzio. 

Organizziamo il Festival della Viandanza perché crediamo che i viandanti siano dei rivoluzionari: non importa il loro nome, il loro lavoro, il loro conto in banca, la loro formazione, la loro lingua, la loro cultura, né da dove siano partiti e dove siano diretti, conta solo che siano donne e uomini in viaggio, quindi fragili, curiosi, amichevoli, lenti, disposti ad accogliere e ad essere accolti. I viaggi sono i viaggiatori, scrive Fernando Pessoa, e noi vogliamo ripartire dai viaggiatori, quelli più lenti per giunta, persone che fanno stare la loro casa in uno zaino. Non avendo bisogno di nulla al di là di qualche vestito e un paio di scarpe, essi non sono ricattabili, il denaro non li può comprare, nessun potere li può lusingare. Questa libertà li rende pericolosi, impossibili da incasellare, dei borderline.

La rivoluzione della viandanza

Il nostro è, in definitiva, un festival pericoloso. Siamo pericolosi, e siamo contagiosi. L’anno scorso abbiamo dato avvio al contagio, grazie a pericolosissimi viandanti come Paolo Rumiz, Erri De Luca e molti altri, quest’anno vogliamo originare una pandemia. Per fare ciò, abbiamo chiamato a raccolta decine di viandanti contagiati e contagiosi, come ad esempio Moni Ovadia, i Têtes de Bois, Sergio Staino e moltissimi altri che presto sveleremo. Affinché l’epidemia dilaghi potentemente, avremo bisogno di tutti voi. Ci troverete a Monteriggioni, dal 31 maggio al 2 giugno, buttati all’ombra degli ulivi, o vaganti nei boschi dei dintorni, o sotto il sole, impolverati, stanchi, ma con il sorriso, perché, come dice Chatwin, l’essere in cammino è la migliore cura della malinconia.

Più sarete, più saremo pericolosi.