Ormai Mr. To è un affezionato di Udine e del Far East Film Festival. L’amore è sbocciato alla fine degli anni Novanta, quando questa giovane rassegna dal sapore asiatico si teneva in un cinema molto piccolo, d’altri tempi, chiamato Ferroviario. Poi, piano piano, il festival è cresciuto e ha iniziato a richiamare un pubblico sempre più folto proveniente da ogni parte del mondo. E Johnnie To, regista e produttore di Hong Kong, ha partecipato a quasi tutte le tredici edizioni del FEFF. Non si è nessuno nel lontano Oriente se, almeno una volta, non si è passati per Udine.
Noto per aver diretto thriller e film di genere, quest’anno si presenta a Udine con una commedia, dal titolo Romancing in Thin Air, che vuole raccontare l’amore nell’aperto paesaggio della provincia cinese – dopo l’esperienza cittadina di Don’t Go Breaking My Heart del 2011 –, dove protagonista è un divo della tv che scoprirà l’amore vero in un piccolo paesino di campagna. A Udine, però, Johnnie To accompagna anche alcune giovani leve del cinema del suo paese, autori di corti cinematografici presentati durante l’annuale Fresh Wave Film Festival nella frenetica città cinese, iniziativa a sostegno dei giovani registi cantonesi.
Alessandro Ortis (AO): Il film è una commedia romantica in cui il protagonista ha l’occasione, dopo una triste vicenda, di ritrovare la tranquillità fuggendo. Da dove viene l’idea?
Johnnie To (JT): Quando abbiamo deciso di realizzare un film per il mercato cinese, volevamo girare un film diverso, che non fosse sempre d’azione o di tema storico, generi che vanno per la maggiore in Cina. Pensavamo ad un tema come l’amore: così, nel 2009, è nata l’idea di Don’t Go Breaking My Heart, in cui abbiamo abbiamo cercato di raccontare come vengono vissute le storie d’amore ai giorni nostri, nella frenesia delle città. Invece, con Romancing in thin air , siamo rimasti fedeli alla commedia romantica, ma vista con una prospettiva diversa, campagnola.
AO: il protagonista del film, Michael, fugge dall’assedio mediatico per ritrovare un po’ di pace. Anche a lei, qualche volta, piacerebbe scappare come il suo personaggio?
JT: Io sono una persona molto attiva ed impegnata, a cui piace moltissimo il proprio lavoro. E per questo penso di essere molto fortunato, visto che spendo tutti i 365 giorni dell’anno a fare ciò che mi piace: il regista. Tuttavia, quando frequento i festival, preferisco starmene tranquillo, mangiando bene e bevendo un buon calice di vino piuttosto che rimanendo sotto i riflettori dei media. Il mondo in cui si muove il personaggio del film e il suo stile di vita sono troppo pigri e spenti, e io preferisco avere una vita completamente diversa.
AO: Passiamo a parlare un po’ del cinema di Hong Kong. Lei, oltre ad avere una casa di produzione cinematografica, la Milkyway, fa anche parte dell’Hong Kong Arts Development Council, che si occupa di promuovere il cinema cantonese. Lei crede che le pellicole realizzate ogni anno possano in qualche modo contribuire a difendere l’identità della sua città dalla diffusione sempre maggiore del cinema mandarino?
JT: Sinceramente, non credo che l’Arts Development Council possa essere in grado di sostenere la causa dell’identità di Hong Kong dai cinesi. A questo scopo esiste un altro ente, l’Hong Kong Film Department, che si occupa di controllare i film, di supportare i registi, anche in termini economici. Per quel che riguarda la mia esperienza, posso dire che il Fresh Wave Festival può essere una grande occasione per i giovani registi per dare spazio alle loro idee e creatività, per scoprire nuovi talenti ed incoraggiare il loro lavoro. Questa iniziativa promuove i giovani talenti, ma non difende l’identità di Hong Kong: questo è un compito che spetta ad altri.
AO: Lei sente, in questi ultimi anni, che la pressione della cultura cinese su Hong Kong si sta facendo sempre più pressante? Non crede che si possa correre il rischio di un ridimensionamento della vostra libertà artistica?
JT: Per ora posso dire che non c’è una forte influenza su di noi. Certo, i tempi stanno cambiando e non potremmo godere dei nostri privilegi a lungo, e quasi certamente Hong Kong dovrà assumere una fisionomia sempre più cinese. Al momento, la libertà d’espressione in arte e nel cinema è una delle nostre caratteristiche migliori, perché ci permette di superare senza difficoltà le strette maglie della censura. Per i prossimi trent’anni, ne sono certo, la situazione resterà invariata, ma fra cinquant’anni qualcosa inizierà a cambiare. E quando questo accadrà, se verrà meno la nostra libertà, io non girerò più film ad Hong Kong.
Vedi l’intervista a Johnnie To.
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Congratulazioni, a risentirci!
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