La sala da tè dell’orso malese
Titolo: La sala da tè dell’orso malese
Autore: David Rubín
Editore: Tunué
Anno: 2012
Prezzo: € 14,50
Pagine: 192
Formato: 17x24cm
ISBN-13: 978-88-89613-68-9

È curioso… c’è ancora gente che crede che questa sia una sala da tè
…quando in realtà è un consultorio psico-animico. 

L’orso Sigfrido gestisce una sala da tè, ma più che un barista è un consulente «psico-animico» per la varia umanità (più spesso, animalità antropomorfa) che lo frequenta.

David Rubín mostra le radici profonde della sua ricerca sui Miti che è sfociata nel suo celebre e premiatissimo L’Eroe, pubblicato in italiano sempre da Tunué nel 2011, ma in questo caso il pop esistenzialista è virato decisamente verso l’esistenzialismo tout-court.

Rubín ritrae se stessoLa sala da tè dell’orso malese è una raccolta di storie di varia lunghezza, oltre metà delle quali comparse precedentemente (e spesso in altra forma) su rivista e rielaborate per dare uniformità stilistica al volume. A mo’ di cornice fumettistica l’autore ritrae se stesso, in un gioco metanarrativo che tornerà ne L’Eroe, in due brevi flash all’inizio e alla fine che riprendono lo spleen del resto delle storie.

Le danze si aprono con Dietro il bancone, una breve storia in cui l’orso Sigfrido trova il modo di annullare due disperate solitudini in un’unione semplice quanto geniale: Caetano Crayon è un supereroe fallito perchè reso cieco in battaglia, Erminia è una gorgone condannata a pietrificare gli uomini che posano il loro sguardo su di lei («Quei poveretti li uccido di amore!»). Sigfrido è il loro postmoderno sensale di fidanzamento, che come il suo autore coniuga l’estetica pop fracassona dei fumetti Marvel con la cultura classica, in un gioco che Rubín porterà avanti quando possibile anche nelle altre storie.

Pur nella pluralità di stili che Rubín omaggia e con tutte le variazioni imposte fisiologicamente dalle condizioni contingenti e dagli stati d’animo, possiamo dire che tutte le tavole siano disegnate con uno stile memore di quello dei francesi Dupuy&Berberian, ma virato verso rotondità traquillizzanti e farcito di retini e altri effetti speciali che potrebbero indurre nel lettore un senso di rassicurante tranquillità. Ma si tratta di un’impressione illusoria, che viene subito infranta dal secondo straziante racconto La lucciola.

Dietro il banconePer stessa ammissione dell’autore, il “vero” inizio de La sala da tè dell’orso malese, la parte che ne giustifica il titolo, è proprio questo secondo frammento in cui veniamo a conoscenza delle origini di Sigfrido che in Dietro il bancone era in fondo solo un personaggio di contorno. Da qui in poi il lettore si incammina in un terreno minato in cui non potrà mai capire se oltre il frontrespizio delle singole storie ci sarà un po’ di sollievo, o almeno di speranza, per i tormentati protagonisti.

La lucciola apre degli scorci nel passato di Sigfrido e spiega come, lui che ha perso tutto, abbia così tanto da dare ai suoi avventori.

Antòn in fiamme illustra con toni violenti e deliranti la redenzione (?) di un alcolista che ha distrutto la sua famiglia.

In Gira la chiave tornano i supereroi, cupi e disperati come non mai.

Ordini è la storia di un soldato e dell’ultimo ordine che il suo generale gli affida per superare la barbarie di una guerra ormai persa.

Giubbotto antiproiettili per una bambina è il resoconto del fugace e concitato incontro di Sigfrido con i manga, il Mito e con due personaggi in fuga.

In Patate Donatello si ricongiunge coi suoi familiari e affida a Sigfrido i suoi animaletti domestici.

E per finire, l’ultima storia Le cose che finiscono per rompersi, forte della sua durata eccezionale (ben 72 tavole), costituisce un po’ la summa di tutto quanto abbiamo letto in precedenza, sia a livello tematico che iconografico. E non a caso è quella in cui confluiscono anche vicende e personaggi visti in precedenza. A volerla cogliere, c’è persino una morale: «Niente dura per sempre». Anche tutto il dolore e la disperazione a cui ha assistito il lettore prima o poi spariranno.

Non deve quindi trarre in inganno lo stile quasi cartoonesco di Rubín: i suoi funny animals raccontano laceranti storie di abbandono, omicidio, suicidio e disperazione, che quasi mai hanno un lieto fine. E se ad ammazzarsi è un ippopotamo tondeggiante non fa meno impressione. Anzi, forse proprio nell’empatia che con pochi tratti sa creare Rubín sta il segreto del suo talento e del fascino (malato o pietistico come lo si voglia vedere) che emana da queste sue storie.

La sala da tè dell'orso malese

La nuova edizione Tunué è rinnovata nella grafica rispetto a quella pubblicata originariamente nel 2009.