Caro lettore,

molto probabilmente sei seduto sulla tua poltrona in finta pelle, di fronte al pc, oppure sei sdraiato sul letto, con il vecchio portatile sulle ginocchia, e forse è sera, forse sei sfatto per la giornata in ufficio e non hai voglia di fare un passo, neanche per andare in bagno. Lo so che trascorri un terzo della tua giornata seduto (accerchiato da colleghi che per lo più non sopporti), un terzo a letto (in compagnia di qualcuno che forse non sopporti più), l’altro terzo in macchina, in filobus, su un treno-merci, o ben che vada in palestra, dove ti annoi mortalmente, e quando esci dalla palestra spingi il carrello per 2-300 metri in un supermercato, trangugi un decaffeinato al volo, ti fai stordire da decine di telefonate inutili, durante le quali torturi i tuoi capelli, o fumi, o sorseggi un aperitivo dolciastro, o consegni al vuoto lo sguardo.

Camminare fa male

Il tuo bisnonno, caro lettore, quando si levava il sole era già tra le vigne, quando sentiva le campane si accasciava all’ombra di un platano, mangiava polenta, gli scarti della sera prima, fumava una paglia e poi nel campo a dare colpi di vanga, finché tramontava. Lui, il tuo bisnonno, camminava almeno 10 km al giorno, se non 30. Non lo faceva per rinvigorire le coronarie, né per meditare sull’esistenza o la non esistenza di Dio, men che meno per farsi botanico da marciapiede. Non aveva il cardiofrequenzimetro, il gps, le pedule da trekking spinto, le magliette tecniche, quelle traspiranti-performanti. Il tuo bisnonno non performava, lui camminava e basta.

Caro lettore, quand’è l’ultima volta che sei uscito da casa tua e sei arrivato a piedi dall’altra parte della città? Sì, perché immagino tu viva in un appartamento al terzo piano, e spesso maledici il giorno che hai firmato quel contratto, o che ti sei impelagato in quel mutuo. Prima di firmare, hai controllato che sotto casa ci fosse parcheggio. Hai la macchina, ma maledici pure quelle rate mensili, e speri di non sfasciare la tua utilitaria prima di aver saldato il conto. Nel fine settimana la sposti per andare a sciare, in spiaggia, ad arrampicare, a fare jogging, rafting, tiro con l’arco, o per raggiungere il campetto di erba sintetica in cui sfoghi le tue frustrazioni, il bar in cui bevi birra e giochi a freccette, il cloro della piscina in cui spegni il cervello per un’ora. Hai l’insopprimibile ansia di essere fermato dalla polizia, e superato il posto di blocco ti assale l’ineluttabile ansia di trovare parcheggio, e trovato parcheggio l’ansia – ormai crisi di panico – di riuscire a dormire senza benzodiazepine.

Camminare fa male

Caro lettore, ti hanno insegnato fin da piccino a tenere in ordine un’agenda. Se l’agenda è vuota, ti dicevano, vuol dire che non impieghi bene il tuo tempo. Che lo butti a mare. Che lo perdi. Hai mai pensato, caro lettore, al significato dell’espressione “perdere tempo”? Io sì, e devi credermi, non ho mai capito che diamine volesse dire. Perché, mi dicevo, se non lo perdo, allora il tempo lo posso vincere. Immaginavo insomma la mia vita come una gara contro il tempo. Lui, il tempo, se ne stava là, in un “là” non ben definito, a scorrere, fregandosene bellamente di me e degli altri come me. Era un nullafacente di prim’ordine, senza una prospettiva, che trapassava corpi, oggetti, situazioni, senza avere un obiettivo, se non quello di spingere tutto verso una fine. Rendendo fitta la mia agenda, avevo la sensazione di ingannarlo, depistarlo per poi colpirlo alle spalle, strappargli la pelle, le unghie, i capelli, e la carne. Più andavo veloce, più gli strappavo brandelli, li conservavo nei cassetti, li sigillavo, li tenevo da parte per quando, in futuro, avrei avuto bisogno di altro tempo. Lo so, caro lettore, stai pensando che sono pazzo. Hai ragione, lo sono stato, ma poi ho cominciato a camminare. Oggi non sono più un pazzo e basta, sono un pazzo che cammina.

Prima di tutto: io non cammino perché camminare fa bene. Anche perché, seguimi, non è vero faccia poi così bene: c’è gente che è schiattata d’infarto, chi ha avuto i piedi amputati per le vesciche non curate, chi è finito in sedia a rotelle per essere scivolato in un burrone, chi è ruzzolato in un canale ed è bell’e morto annegato, chi è stato sbranato da lupi, linci, gambizzato da cinghiali, sparato per sbaglio da cacciatori, azzannato da cani rabbiosi, punto da zecche, morso da vipere, investito da tir, ustionato da un sole post-nucleare, chi si è spaccato il bacino in due su una mulattiera dismessa, chi si è pigliato la broncopolmonite dopo un tappone di montagna, chi è morto disidratato nelle steppe roventi, chi ha visto un orso e si è portato a casa un terrore che non lo abbandonerà mai più, chi è semplicemente morto di solitudine.

Camminare fa male

Caro lettore, camminare fa male. È pericoloso. Sappilo fin d’ora, così che tu possa levarti dalla testa il pensiero di calzare le scarpe, o i sandali, e metterti in cammino. Resta dove sei, con il tuo mutuo, vai in palestra due volte alla settimana, il weekend vai a correre, in alternativa vai a ballare. Ci sono molti modi di tenersi in salute, già lo sai. La televisione che guardi quotidianamente te lo insegna. Un’ora di step ti fa bruciare il doppio delle calorie che bruceresti camminando tra i campi. Un’ora in salita ti farebbe consumare di più, ma potresti rischiare di farti venire un’ischemia. Nel bosco non ti troverebbe nessuno. Invece in palestra l’ambulanza arriverebbe nel giro di 5 minuti. Ti salveresti.

Caro lettore, se ancora mi stai leggendo significa che non credi a quel che dico. Evidentemente per te camminare fa bene. E sia, diciamo pure che male non fa, ma andiamo oltre. Per camminare ci vuole tempo. Siccome in media, tra pause, dislivelli, eccetera, si fanno 4 km/h, per attraversare la tua città, da periferia a periferia, hai bisogno di quanto, 3 ore? 4? 5? In macchina ci metteresti mezz’ora. Un’ora, forse, con il traffico di punta un’ora e mezza. Guadagneresti tempo, lo potresti mettere nel baule per i periodi di magra. Non è meglio starsene sotto le coperte a fare l’amore?

Caro lettore, se sei ancora qui cosa posso dire? Sei un lettore cocciuto. Pensi che camminare faccia bene, e non ti importa di perdere tempo facendolo. Ora però sta a sentire. Camminare è una noia tremenda. Peggio che nuotare. Perché stare a mollo nell’acqua è pur sempre piacevole. Ti ricorda i tempi del grembo di tua madre, è un’immagine commovente, no? Ma quando sei nato non camminavi, c’hai messo un po’ prima di imparare a farlo. Ecco la prova limpida che si tratta di un’attività innaturale. Come dicevo poc’anzi: tremendamente noiosa. Dimentica le passeggiate pasquali, un’ora, due, a pancia piena, tra i lecci, in riserve naturali dove i caprioli ti saltano in braccio e sai che la macchina ti aspetterà al cancello. Pensa piuttosto a una camminata di giorni, settimane, addirittura mesi, per discariche, zone minate, montagne impervie, foreste bruciate, periferie industriali, raccordi autostradali, colline straziate dalle villette abusive, sentieri di pietre aguzze, sterrati senza fine, zone acquitrinose infestate dalle zanzare, campi d’erba in cui rigogliosi si moltiplicano gli insetti più furibondi. Sì, ci sono anche i paesaggi del mulino bianco, ma quelli, credimi, sono una minoranza silenziosa. Per cui desisti, spegni il computer, sparati 20 gocce di alprazolam e coricati, ché domani ti aspetta una giornata di lavoro duro, duro, duro.

Camminare fa male

Caro lettore, se sei ancora qua non c’è che dire, sei un lettore tosto. Comincio addirittura a pensare che tu sia un potenziale camminatore. Stai pensando che camminare fa bene, non è una perdita di tempo, magari aguzza lo sguardo. Ora però ti dirò una cosa che ti spedirà dritto dritto a letto. Sappi che, se ti metterai in cammino, ti capiterà di dormire in posti condannati anche dalla Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. Rifugi abbandonati, senza riscaldamento, senza letti, senza docce, senza fornelli, più sozzi dell’inferno, abitati da brutali animali in via di estinzione, da fantasmi ipertesi, da esseri disumani che ti terranno ad occhi spalancati fino all’alba. Oppure starai sotto le stelle. Dimentica i racconti estasiati dei tuoi amici scout. Dormire all’addiaccio è un’esperienza tragica, qualcosa di simile a una malattia senza possibilità di cure, una sofferenza indicibile. Sarai sottomesso alle implacabili leggi della natura matrigna che tutto dispone. Ricordi il giardinetto di Leopardi? Beh, sarà molto peggio. E rischierai di essere rapinato, seviziato, violentato, ucciso, sotterrato vivo in una bara in mezzo ad una selva nera, una giungla, un campo di girasoli. Nessuno ti sentirà gridare. Perciò spegni il computer, la luce, l’intelletto, fai finta di non aver mai letto queste righe, e via a letto.

Caro lettore, sei ancora qui. Non hai paura di mettere a repentaglio la tua vita e hai tempo da perdere in quantità. Cosa posso dire? Cominci a piacermi. Potrei tentare di farti desistere dal tuo malsano proposito, ma ho il sospetto che, essendo arrivato fin qua, non molleresti la presa. E allora: benvenuto. Sì, molto probabilmente anche tu fai parte di quella setta anomala che Thoreau definì “Ordine dei Camminatori”. Sappi, dunque, che questa rubrica sarà dedicata agli adepti della misteriosa setta di cui tu ed io, umilmente, affermiamo di fare parte. Sarà una sorta di bollettino aperiodico, senza schemi, senza mete, una pura perdita di tempo. Un patto tra te e me dal quale non ricaveremo nulla. Già, cosa te lo ridico a fare: il camminare ha a che fare con la gratuità. Basta accelerare di poco il passo e già si entra in un mondo in cui gli uomini vengono giudicati sulla base dei secondi, perfino dei centesimi (roba da non credere, lo so). Promemoria: noi non gareggiamo, noi camminiamo.

Caro amico, vorrei che ci dessimo ogni volta un compito. Perché siamo lenti, e spesso siamo amorevolmente sopraffatti dalla dimenticanza. Vorrei che entro la metà di giugno facessimo tre cose:

1) Leggere, o rileggere, un vero classico per noi membri della setta: Henry David Thoreau, Camminare (si trova in edizione economica).

2) Partire da casa, camminare fino alla casa di un amico che non vediamo da tempo, salutarlo, abbracciarlo, trascorrerci assieme un buon tempo (quanto? fai tu), tornare indietro a piedi.

3) Venire qui a raccontare com’è quel libro, com’è stato l’incontro con quell’amico, quella camminata.

Vorrei che immaginassi questo spazio come una panchina di quercia all’ingresso di un inceneritore. Un posto in cui riposarci un po’, scambiare impressioni sui ritmi delle nostre vite, sul come fare a rallentarle, renderle umane, parlare di cammini che abbiamo fatto e altri che ci aspettano, ricordare viandanti che non ci sono più, che hanno scritto libri che andrebbero letti, prendercela assolutamente con calma, fare sì che i nostri fiati, il nostro sudore, le nostre parole, portino bellezza dove apparentemente non c’è.

Memento retardare semper!

Camminare fa male