Realizzato dalla documentarista moldava residente a Bruxelles Otilia Babara e proiettato in anteprima italiana al Trieste Film Festival 2023, dove ha meritatamente vinto il premio CEI (Central European Initiative) come film che meglio interpreta la realtà contemporanea e il dialogo tra le culture, Love Is Not an Orange è un documentario che si distingue dalla massa per il suo lasciar parlare le immagini e consentire così al pubblico di cogliere cosa si nasconde dietro quei sorrisi, quella gioia, quei regali scartati.
Nato da una ricerca della regista in seguito alla freddezza dei rapporti tra una sua cara amica e la madre che per anni aveva lavorato all’estero per garantire alla famiglia una fonte certa di sussistenza, il documentario narra, attraverso le videocassette che le madri moldave trasferitesi in altri paesi per lavoro ricevevano da mariti e figli, la storia di un legame affettivo mantenuto grazie all’invio di oggetti bramati che però non riescono a compensare quell’assenza destinata a diventare spesso a tempo indeterminato. I filmati, che coprono un arco di tempo che va dai primi anni Novanta al 2010, mostrano bambini, entusiasti di ricevere giocattoli, cioccolato, vestiti e altre cose che nel loro paese non potrebbero permettersi, che sorridono alla telecamera spiegando i propri progressi a scuola o raccontando la loro giornata cercando di mantenere un contatto con una persona che purtroppo non è lì ad abbracciarli, a consolarli né a sostenerli nei momenti di difficoltà. A volte si vede scendere qualche lacrima o si percepisce un evidente disagio da parte dei bambini, ma per lo più i video mostrano momenti di spensieratezza e allegria, quasi a voler compensare con una felicità almeno simulata il sacrificio di quella madre che sta lavorando duramente per assicurare a tutti un futuro migliore.
Questo fenomeno di migrazione delle madri moldave è iniziato nel 1991 dopo che il paese ha conquistato l’indipendenza dall’URSS. La successiva crisi economica, con il mancato pagamento degli stipendi, e una mentalità sociale che prevede che siano soprattutto le donne a mantenere figli e mariti, ha costretto queste madri ad abbandonare i propri cari per andare a svolgere all’estero i mestieri più umili con lo scopo di poter inviare denaro alle famiglie. La dimostrazione concreta del loro affetto rimasto immutato ha preso la forma di pacchi, inviati periodicamente, il cui contenuto rispecchiava la mentalità occidentale legata al consumismo più sfrenato e spesso inutile. L’unica cosa che le madri non potevano infilare in quelle scatole era loro stesse. Ed era anche la sola cosa davvero desiderata da quei bambini che ricambiavano i regali con una videocassetta.
Colpisce, nei filmati, l’atteggiamento dei padri. Consapevoli del sacrificio delle mogli, impegnati costantemente a riprendere i figli anche mentre sono in bagno o rifiutano il semolino e a farli esibire davanti alla telecamera con il nuovo giocattolo appena ricevuto, si dimostrano spesso privi di qualsiasi senso di colpa e a volte anche un po’ scansafatiche, con la tendenza a ribadire ai bambini l’importanza che la mamma resti a lavorare fuori per continuare a inviare soldi.
Come sottolineato da alcune delle protagoniste presenti in sala, quello che non si vede è il dolore e la sofferenza dietro a quei doni, e soprattutto il fatto che quelle madri sono destinate a diventare una realtà invisibile per i loro figli con conseguente trauma sia per le une che per gli altri. A questo proposito, la regista ha scelto di inserire nel documentario la voce off di un’ipotetica madre, in rappresentanza di tutte loro, che interviene tra un filmato e l’altro confessando la solitudine provata in un paese che le è estraneo e quanta angoscia si cela nel doversi occupare dei figli degli altri senza poter vedere e abbracciare i propri. Molte di quelle madri, verso le quali i bambini serbavano l’illusione di un rapido ricongiungimento, non sono mai più tornate nel loro paese e, se lo hanno fatto, tra loro e i figli si è spesso creata una sorta di barriera di incomprensione. Il titolo Love Is Not an Orange vuole sottolineare proprio questo concetto: la madre dell’amica della regista, emigrata in Grecia, inviava alla figlia tante arance che in Moldavia sono considerate un frutto esotico, ma questo non è bastato a evitare il deterioramento del loro rapporto, perché l’amore non è insito negli oggetti ma nella presenza costante e nella dimostrazione di affetto, quell’affetto che purtroppo un’economia in tracollo ha impedito a molte madri di dare.
A questo link è possibile vedere il trailer: