Non è facile intervistare Milo Manara, non certo per la sua ritrosia (è anzi molto generoso nel rispondere alle domande) quanto perché, essendo il fumettista italiano vivente più famoso, su di lui si sa già tutto. Infatti, proprio per la disponibilità che lo contraddistingue, ha sempre abbondato in aneddoti e racconti. Né sono mancati, soprattutto negli ultimi anni, testi che ne hanno parlato e vere e proprie autobiografie. Tanto che non mi sembra il caso di usare questo spazio solitamente dedicato alla presentazione dell’intervistato per ripetere cose che sanno tutti.
Per questo motivo, in coda alla conferenza stampa di domenica 30 ottobre, ho cercato di tirare fuori qualche argomento meno scontato, riuscendoci solo in minima parte.

Milo ManaraLuca Lorenzon (LL): Lei ha una lunga frequentazione con Lucca…

Milo Manara (MM): In realtà ci sono tornato solo da qualche anno dopo parecchio tempo, perché la morte di Hugo Pratt mi aveva stordito, non me la sentivo di tornare in un posto che senza di lui non era più quello che conoscevo. Di Pratt avevo scoperto la sua Ballata del Mare Salato su Sgt. Kirk, la rivista di Ivaldi, e fu una rivelazione. Lo conobbi a Lucca la prima volta che ci venni, nel 1969 (nel gennaio di quello stesso anno avevo pubblicato il mio primo fumetto).
A proposito di Lucca, successe una cosa particolare nel 1978. Quell’anno uno degli sponsor erano le Aerolineas Argentinas…

LL: Anche perché quell’anno mi pare che ci fosse la delegazione di autori argentini.

MM: Non ricordo se facessero proprio da sponsor, ma comunque parteciparono. Solo che all’epoca era in pieno corso la feroce dittatura argentina e tra noi autori decidemmo che per protesta avremmo boicottato il Salone, non avremmo ritirato i premi. Solo che quell’anno premiarono proprio me! Era il primo premio che mi davano in vita mia e non sapevo come comportarmi. Così mi rivolsi al pubblico del Teatro del Giglio e feci un rapido “sondaggio” chiedendo se dovessi accettarlo oppure no, e la risposta fu sì[1].
Hugo Pratt mi disse che ero stato peggio di Mario Merola per la sceneggiata che feci!

LL: Attualmente a cosa sta lavorando?

MM: Alla riduzione a fumetti de Il Nome della Rosa di Umberto Eco. È un progetto che mi è stato proposto da Elisabetta Sgarbi. Si tratta di parlare di temi attuali ancora oggi: la povertà, che è il problema più grave di oggi, ma anche la capacità di ridere.
Mi rendo conto che possa sembrare un’opera diversa da quelle che realizzo di solito, ma Il Nome della Rosa è anche un romanzo di formazione perché parte dai ricordi del narratore Adso, quindi anche da quando era un ragazzo che scopriva molte cose tra cui il sesso. Nella parte del libro dedicata all’episodio dell’incontro con una ragazza, Umberto Eco cita il Cantico dei Cantici: sono pagine di una levatura letteraria altissima, ma le metafore sono molto chiare.
Saranno due volumi: il primo avrà il culmine con la scena dell’incontro con la ragazza, nel secondo verrà dato molto spazio all’Inquisizione.

Milo Manara (conferenza)

LL: Al di là delle Sue doti conclamate Lei è ancora più ammirevole per il fatto che in un mondo in cui i fumettisti (soprattutto italiani) non leggono fumetti, Lei in più occasioni ha testimoniato di leggerne ancora e di apprezzarli. Cosa ha letto recentemente che L’ha colpita?

MM: I primi nomi che mi vengono in mente sono Paolo Bacilieri e Zerocalcare.
Zerocalcare è molto interessante perché ha una gamma di registri molto vari, nelle sue storie non c’è solo il comico ma anche il drammatico. Il primo libro suo che ho letto è Dimentica il mio nome e decisamente è toccante l’inizio con questo ragazzo, che solo superficialmente potrebbe sembrare un coatto, che ricorda la morte della nonna.

LL: Di Bacilieri, Lei fu anche il maestro.

Pastelli GiottoMM: Sì, infatti io e lui ci prendiamo in giro perché ricordiamo l’aneddoto di Giotto con Cimabue, quello che una volta veniva raffigurato anche sulle confezioni di matite colorate, l’episodio secondo cui Cimabue rimase colpito nel vedere questo pastorello che disegnava una pecora alla perfezione e lo prese a bottega. E allora anche noi ci chiediamo “l’allievo ha superato il maestro?”.
Bacilieri è stato mio allievo, ma già da ragazzino vidi che era un ottimo disegnatore. E non aveva certo bisogno delle mie raccomandazioni, nel fumetto può esserci un aiuto, spiegare come muoversi o a chi rivolgersi a seconda della personalità di un disegnatore, ma non ci possono essere raccomandazioni perché quello che fai si vede ed è sotto gli occhi di tutti. Insomma, non è come se devi presentare dei disegni a scuola e te li fai fare da tuo fratello maggiore.
Tra i fumettisti italiani mi piacciono anche Gipi e Fior, tanto per fare i primi nomi che mi vengono in mente, ma amo anche la “vecchia guardia” degli autori francesi (ma anche di altri Paesi), quelli che fanno ancora fumetto d’avventura e in cui il disegno non passa in secondo piano come invece mi sembra accada in altri contesti.