Presentato in anteprima al Trentatreesimo Trieste Film Festival, il documentario Būsiu su tavim (I’ll stand by you), di Virginija Vareikytė e Maximilien Dejoie, è ambientato nel contesto rurale della cittadina lituana di Kupiškis dove, come in gran parte del paese, il numero di suicidi è molto alto. Allo scopo di contrastare una situazione sempre più drammatica, la psicologa Valija Šap e la poliziotta Gintarė Meškienė entrano in contatto diretto con le persone considerate a maggior rischio e cercano di infondergli positività e soprattutto di ascoltare i loro sfoghi e le loro tragedie umane.
Grazie all’opera delle due donne e dei volontari che coinvolgono, il programma di prevenzione di Kupiškis si è rivelato efficace, dimostrando che le persone sole, ammalate e spesso abbandonate a se stesse hanno bisogno soprattutto di qualcuno disposto a parlare anche dei loro propositi suicidi e, anche se non in grado di essere convincente riguardo ai motivi per non metterli in pratica, almeno indurli a distrarsi da quel pensiero ossessivo e spingerli a stabilire contatti con la comunità che li rendano meno isolati, perché quello che davvero serve a queste persone è attenzione, pazienza e disponibilità a comprendere i dolori, fisici o psicologici, che li tormentano.
I due registi hanno scelto di seguire, nell’arco di quattro anni, Valija e Gintarė nel loro lavoro proprio per lo spirito con cui sanno affrontarlo, e per l’ottimismo che non le abbandona mai – nonostante la sofferenza e la disperazione delle persone con cui interagiscono quotidianamente – neanche quando si trovano a messaggiare di notte con qualche potenziale suicida ormai giunto all’estremo della sua sofferenza. Il punto di forza è la conoscenza profonda della comunità in cui si vive e la volontà di fare rete per essere tutti responsabili del miglioramento sociale. Ad esempio, una delle soluzioni adottate per indurre un anziano a sentirsi meno solo e ad allontanare pensieri negativi è stata quella di metterlo in contatto con un’altra signora anziana, con il suo carico di sofferenze, che riempisse il vuoto quotidiano percepito dall’uomo.
Vista la tematica particolarmente delicata, le riprese non si sono limitate alla vita delle due protagoniste e alle persone che assistono – la cui intimità è stata sempre rispettata grazie a un’accurata scelta delle inquadrature – ma hanno riguardato anche il paesaggio rurale che fa da contorno alla vicenda e, almeno in parte, la vita privata di Valija e Gintarė, come il matrimonio di quest’ultima e le passeggiate lungo la spiaggia di Valija o la sua attività sportiva. Questo non solo con lo scopo di alleggerire i toni del dramma, ma anche per dimostrare che da una parte il dolore può nascere anche in contesti naturali molto ameni e dall’altra, malgrado un’attività lavorativa che può essere definita debilitante e in parte destinata anche al fallimento, si può mantenere uno spirito positivo e una grande gioia di vivere, perché aiutare gli altri può anche riempire la vita indipendentemente dalla quantità di sofferenze di cui ci si fa carico.
Con l’intento di favorire la sensibilizzazione verso la tematica del suicidio e di trasmettere la consapevolezza che non si tratta di una realtà specifica del contesto lituano – soprattutto ora che, con la pandemia, l’isolamento delle persone è aumentato – di alcuni personaggi si sentono solo le voci, lasciando così intendere che dietro potrebbe esserci ognuno di noi. Quello che emerge è l’importanza di darsi una mano, di sostenersi vicendevolmente e, soprattutto, di essere disposti ad ascoltare gli altri, in particolare nei momenti in cui manifestano disagi che non vanno sottovalutati e specialmente in una società come quella attuale che promuove l’individualismo e non l’ascolto.
Qui è possibile vedere il trailer con sottotitoli in inglese: