I batteristi non furono considerati fin da subito e spontaneamente veri musicisti: ci vollero anni prima che venissero riconosciuti come tali. Ad oggi è indissolubile la consapevolezza di una necessaria presenza ritmica sostanziosa, stabile e corposa. Qualsiasi band che abbia posto le basi a una rivoluzione storica della musica ospitava tra i componenti un formidabile batterista. Senza la batteria, non esisterebbero generi musicali quali il rock e, più banalmente, la gente non ballerebbe scatenata ai concerti. Per approfondire le conoscenze che possedevo su questo strumento, verso cui prediligo un amore unico e spontaneo da quando sono stata in grado di identificarlo nelle mie adolescenziali sessioni di ascolto musicale, mi sono imbattuta nel documentario On Drums, realizzato dal batterista della band The Police, Stewart Copeland. Basandoci su questo riferimento, proviamo a ripercorrere insieme le tappe evolutive della ritmica, per dispiegare il senso più profondo della stessa.
Partiamo dal formidabile batterista jazz Buddy Rich. Nato nel 1917 a Brooklyn (New York), Rich era in grado di stupire qualsiasi spettatore con il suo mostruoso talento. Sapeva ipnotizzare il pubblico anche grazie alla decisiva scelta di porre la batteria al centro del palco, direttamente di fronte ai volti delle persone. Pianificava lo show in modo tale che i suoi assoli di ritmica risaltassero sotto la luce dei riflettori – lo si può constatare attraverso qualsiasi esibizione reperibile su YouTube, come ad esempio quella del celebre tema Caravan. Tralasciando per un momento questa tattica, il suo talento sarebbe comunque emerso anche collocato in angolo, tra una folla numerosa di musicisti, grazie alla sua rapida precisione nei movimenti.
Il vero padre del drum set, però, fu Edward “Dee Dee” Chandler, batterista del XIX secolo di New Orleans (Louisiana). Questa città, patria di numerosi musicisti quali i Fats Domino, possiede specifiche particolarità storiche che la rendono un punto cruciale per remote svolte ritmiche e musicali. Infatti, nell’epoca della segregazione razziale, i quartieri di New Orleans erano popolati da schiavi provenienti dall’Africa. Essi costituirono una delle poche aggregazioni, tra le varie minoranze etniche presenti nel sud degli Stati Uniti, alla quale fu concesso riprodurre e celebrare le origini culturali perdute. Negli ultimi anni dell’Ottocento, in corrispondenza con la fine della guerra civile americana, New Orleans esplose in mille sfumature di suoni e danze, racchiuse nella leggendaria parata di “Seconda Linea”. Quest’ultima consiste in un gruppo di individui, vestiti con abiti dai temi più svariati e adornati dagli orpelli più bizzarri e colorati, che seguono una band di “Prima Linea”, dando pieno sfogo al concetto di libertà. Rivolgo al presente la spiegazione di questa celebrazione perché è una tradizione ancora viva nella pittoresca città, anche se essere stati presenti durante l’esibizione dei primi veri protagonisti di una reintrepretazione esotica dei classici strumenti europei dev’essere stata un’esperienza incisiva. Questo movimento fu di ispirazione intorno agli anni Sessanta del 1900, quando James Brown inventò il genere Funk, creando così una stretta correlazione tra i ritmi tipici della “Seconda Linea” e quelli Funk. Uno dei fattori rivoluzionari della “Seconda Linea” è costituito dall’unione di una linea ritmica bassa con una linea ritmica alta in un unico strumento, controllabile da una sola persona. Ci stiamo avvicinando in quest’ultima parte all’affascinante introduzione della virtuosa figura del batterista, al tempo non ancora esistente.
Per raccontare nel dettaglio questo aspetto, dobbiamo però ritornare al personaggio storico sopracitato: giunti a questo punto, nel programma On Drums, il presentatore-batterista Stewart mostra una foto di una piccola orchestra, preziosa e rara traccia storica risalente al 1896. Di primo acchito, l’immagine in bianco e nero non sembra rappresentare nulla di insolito, fino a quando non ci si focalizza sui dettagli dello strumento che lo stesso Dee Dee Chandler accoglie a sé. Infatti, si può notare una grancassa dotata di pedale. Per quanto possa sembrare banale, questo oggetto rappresenta una delle più grandi invenzioni della musica moderna, che portò alla nascita del groove e alla creazione di generi come il rock. Dee Dee sviluppò ciò che le parate di New Orleans avevano introdotto: concretizzò la realizzazione di un comodo strumento con cui fosse possibile suonare linee basse e alte, a differenza di quello usato nelle celebrazioni in Louisiana, il quale doveva ancora essere trasportato in spalla. Venne così spianata la strada verso l’idea del drum set, attraverso il quale il rullante, la grancassa e il charleston potevano essere suonati da un’unica persona. Il pioniere del drum set fu Warren “Baby” Dodds, leggendario protagonista della scena musicale all’origine della nascita del jazz a New Orleans. Baby, agli albori, era impregnato di uno stile fortemente influenzato dalle marce militari, com’era normale che fosse seguendo una formazione classica delle percussioni. Iniziò a suonare durante le parate di New Orleans. Di questo suo periodo, si racconta che un giorno l’orchestra lo abbandonò sul palco a causa della sua tecnica meccanica e poco stimolante. Questa traumatizzante esperienza spinse Baby a diventare un musicista migliore, giungendo a delineare il concetto del groove: molteplici e complessi ritmi realizzati da una sola persona.
Stewart Copeland prosegue nella sua ricostruzione storica, giungendo a un’improbabile lavanderia a gettoni del vecchio quartiere francese di New Orleans, la quale nasconde un importante segreto. Proprio in questo singolare luogo, fu registrato un vinile che determinò la nascita del Rock’n’Roll, avvenuta circa settant’anni fa: stiamo parlando di The Fat Man, prodotto dalla band Fats Domino il 10 dicembre 1949. Secondo Copeland, questo singolo rappresenta il primo riferimento rock in assoluto per il caratteristico ritmo suonato alla batteria, chiamato “backbeat”. Nel brano, per la prima volta si sente una grancassa che conduce verso il downbeat, mentre il rullante guida verso l’upbeat – o controtempo o backbeat. Si formano così i quattro tempi semplici, i quali costituiscono il riff fondante di tutta la musica pop mondiale e moderna, oltre che pattern basici nell’uso della batteria. Earl Palmer, batterista che accompagnò Fats Domino in The Fat Man, introdusse quindi una composizione strumentale mai ascoltata prima di allora. Proseguì la sua rivoluzione ritmica con Tutti Frutti, conducendo Little Richard alla svolta di carriera.
Il programma On Drums prosegue con la citazione di altri celebri percussionisti che hanno apportato importanti cambiamenti a partire da influenze africane.
Ginger Baker, co-fondatore e batterista della band Cream, apprese il taglio jazz di improvvisazione, ampliando notevolmente il vocabolario del drum set. Inoltre, grazie a una passione verso la musica folcloristica africana, i suoi groove erano tipici e scomposti, con colpi che assumevano quasi un senso tribale.
Keith Moon, componente della band britannica The Who, fu un altro batterista che cercò di conservare le origini percussive di New Orleans. Per non parlare di John Bonham, il quale per altro non ha di sicuro bisogno di presentazioni: componente dei Led Zeppelin, fu proclamato miglior batterista mondiale dalla rivista Rolling Stones in quanto pilastro fondante delle percussioni rock e hard rock, rivoluzionando così il modo di concepire il ritmo. Il suo stile è unico e inconfondibile, oltre che intriso di un etereo mistero su come potesse essere reale la sua dote sonora. Non era rapido, però sfoggiava un timbro corposo e preciso grazie a creatività e tecnica; timbro che consentiva un rimbalzo leggero ad ogni colpo. Sicuramente possedeva uno spiccato e innato senso del groove.
Infine, a conclusione di questo breve percorso storico nel mondo della ritmica, Stewart ospita in casa due grandi percussioniste, con le quali si confronta attraverso duetti performativi e brevi interviste. Per prima, arriva la percussionista Bobbye Hall, che ottenne collaborazioni con grandi nomi – tra cui Bob Dylan, The Temptations e Joni Mitchell – attraverso la prestigiosa etichetta discografica Motown, che la ingaggiò alla tenera età di undici anni. Nel 1970, il suono di Motown si stava evolvendo grazie all’influenza soul di Marvin Gaye. Bobbye contribuì a questo stravolgimento grazie all’introduzione delle sue percussioni in Inner City Blue. Lei stessa racconta che in Motown il blues abbandonò in quegli anni le influenze del R&B, mettendo da parte le basiche divisioni in due e quattro, per creare molteplici cammini, emozionali o liberi come quelli tipicamente jazz. Mentre Bobbye Hall accompagnava Marvin a rallentare il groove, il suo contemporaneo James Brown si stava adagiando sulla comun etichetta di “ideatore del funky”, aiutato dal re del ritmo percussivo funk, Clyde Stubblefield. La seconda ospite non può che essere l’alter-ego di Clyde, la regina del funk Sheila E.: ammirata da tutti i batteristi per i suoi colpi taglienti, elettrici ed energici, rappresenta, insieme a Prince, lo sviluppo moderno del genere. Lui stesso ne rimase meravigliato, al punto tale da lasciarsi per anni ispirare dalla sua linea ritmica. Questa intensa unione, nella tempesta degli anni Ottanta, riuscì a conquistare il mondo intero.
Qui è possibile vedere il documentario On Drums in lingua originale: