Attraverso un andamento ritmico più unico che raro, ci stiamo accingendo verso un Natale che viene già da giorni percepito in un modo tutt’altro che classico: nonostante le limitazioni e le incertezze, dal mio punto di vista apparirà più simile a una boa di salvataggio, un aggancio solido grazie al quale sarà possibile riprendere fiato, dopo chilometri percorsi a nuoto nell’alta marea. Nei personali momenti di raccolta, mi ritrovo sempre più spesso a sentirmi grata per le fortunate possibilità che possiedo grazie al contesto storico e culturale in cui sono nata. Infatti, seppur non in modo assoluto, posso considerarmi relativamente libera. Libera di amare, libera di esprimere il mio pensiero, libera di scegliere sulla mia vita e sul mio corpo. Ad ogni minima conquista, il culto occidentale tende però a sottolineare con maggior forza gli aspetti negativi. “Ma che Natale sarà senza tutti i parenti?”; “E Capodanno come lo passiamo? Nella malinconia dei nostri pensieri?”; “Certo che senza le piste da sci, queste vacanze non saranno le stesse”; e via dicendo. Se solo tentassimo di spostare il focus dell’attenzione, ci accorgeremmo che non troppo distante da noi, anzi più vicino di quanto pensiamo, ci sono persone che vivranno la problematica Covid-19 come semplice orpello in aggiunta a situazione tragica di partenza. Le mie parole fanno riferimento nello specifico a Patrick Zaki, studente dell’Università di Bologna, imprigionato dal 7 febbraio di quest’anno nel carcere egiziano di Tora, semplicemente in qualità di oppositore all’oppressione umanitaria e morale esercitata da Abdel Fattah Al-Sisi.
Lunedì 7 dicembre 2020, i tribunali egiziani hanno prorogato la carcerazione di Zaki per ulteriori quarantacinque giorni, senza anticipare nulla su quale possa essere la decisione finale. Formalmente le accuse contro il ragazzo sono di diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e ai crimini terroristici. Attraverso una pagina social, sono state diffuse le lettere che Zaki ha scritto ai famigliari a seguito di questa temporanea ma sconfortante sentenza. In esse lo studente e ricercatore esprime una profonda tristezza per non poter ancora rivedere i volti dei suoi famigliari ed amici, nemmeno durante uno dei periodi più sentiti a livello affettivo per la nostra cultura. Mi sono chiesta come l’arte abbia reagito di fronte a questa ingiustizia; purtroppo, ho riscontrato poche informazioni relative alle risposte dirette verso questa specifica oppressione. Credo siano comunque degne di nota per la loro capacità di creare una risonanza sulla questione.
Nella notte del 18 febbraio scorso, la street artist Laika ha realizzato un “atto secondo” della sua opera riguardante l’abbraccio tra Giulio Regeni e Zaki, dopo che il primo tentativo era stato rimosso da mano ignota. L’artista è ritornata sullo stesso muro romano, quello che circonda Villa Ada, a pochi passi dall’ambasciata d’Egitto. Laika ha voluto aggiungere l’ombra di una persona, a rappresentanza di chi ha rimosso la prima opera, mentre strappa l’abbraccio tra Regeni e Zaki, senza però lasciare vuota la parte lacerata: dietro l’immagine sono presenti, infatti, numerose persone che fanno sentire la propria voce a sostegno della liberazione di Patrick, capeggiate dalla poster-artist munita di maschera e caschetto rosso d’ordinanza. Ogni individuo sostiene un cartello giallo che riporta un messaggio: “Free Patrick”.
Ad aprile di quest’anno, gli studenti spagnoli dell’Università di Granada, ateneo capofila del master “Gemma” che il ventottenne frequentava, hanno dato voce a Patrick attraverso musiche, poesie e dipinti.
Sabato 26 settembre 2020, invece, Bologna si è imbastita come campo sperimentale per una vera e propria maratona artistica, sempre a supporto di Zaki: aquiloni decorati, laboratori di lettura e di artigianato, sfilate per le vie del centro. L’iniziativa, ideata e organizzata da Cantieri Meticci e promossa dal Comune di Bologna, aveva lo scopo di sensibilizzare i cittadini sulla condizione dell’attivista egiziano. I partecipanti sono stati guidati dai registi di Cantieri Meticci nella scelta dei brani da leggere in condivisione, tratti dal romanzo Il bacio della donna ragno di Manuel Puig (1976). L’opera, da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Héctor Babenco nel 1985, è ambientata in un carcere durante la dittatura argentina e rappresenta un inno alla capacità della narrazione di farsi strumento di resistenza in contesti estremi.
Infine, ho scoperto che in occasione delle svariate ribellioni contro l’ex dittatore egiziano Hosni Mubarak, nel corso del 2011, è stato composto un vero e proprio canto di rivolta dal gruppo rap egiziano Arabian Knightz. Il brano, intitolato Not your prisoner, è stato scritto per metà in inglese e per metà in arabo ed è stato diffuso sul web con un video in cui scorrono le immagini delle manifestazioni di piazza e della violenta repressione dei giovani attivisti. I toni melodici aggressivi sprigionano in modo lampante i sentimenti che aleggiano da anni nelle coscienze vigili appartenenti all’antica terra. Ad enfatizzare il messaggio è il ritmo del genere scelto dagli artisti in questione per esprimere il proprio pensiero: da sempre l’hip hop è in grado di accostare poesia, linguaggio di strada e sentimenti schietti attraverso un giro di riff che la sensibilità umana non può in alcun modo ignorare.
I want my nation
free from all oppression
I want my nation
free from all evil
I want my nation
free from all injustice
I want my land and the land of the Arabs!
Un mantra che il popolo egiziano non dovrebbe mai avere smesso di invocare e che ora coinvolge anche noi, in qualità di compagni stretti di Zaki.