Questo breve saggio in forma di dialogo, riedizione di una precedente versione datata 2002, è stato pubblicato esattamente un anno fa. È stato un atto dovuto recensirlo con un ritardo di dodici mesi nel rispetto della filosofia della lentezza teorizzata da uno dei due autori; così Giancarlo Politi, ex direttore ed editore di Flash Art in merito a Paul Virilio in uno dei suoi Amarcord: «teorico della lentezza e nemico della velocità che secondo lui distrugge il mondo […] Secondo Virilio il tentativo dell’uomo di superare se stesso e la conseguente accelerazione del mondo rappresenta una catastrofe imprevedibile. L’incidente, teorizza Paul Virilio, nasce con la tecnologia: quando si è inventato il battello è nato anche il naufragio, quando è stato messo sulle rotaie il treno, è nata la catastrofe ferroviaria e il volo ha prodotto grandi disastri aerei.»
Il saggio si compone del confronto dialettico, anzi dello scambio visto che la vedono nella stessa maniera, tra il filosofo Paul Virilio, come riassunto sopra teorico della lentezza avverso alla modernità, e l’artista Enrico Baj. La tesi da cui partono i loro dialoghi, e che dà il titolo al saggio, è il distacco tra l’arte e il pubblico che dovrebbe fruirla, anche tramite la sua istituzionalizzazione.
Ovunque si percepisce l’indignazione verso un sistema dell’Arte opulento e corrotto, cosa che di solito cela la frustrazione di chi non ne fa parte: ma gli autori sono alieni da ogni sospetto viste le carriere che hanno avuto e i traguardi che hanno raggiunto nei rispettivi campi; ciò detto, come spesso accade con i testi di Storia dell’Arte, quelli contemporanei poi (figuriamoci quando sono scritti da filosofi) l’argomento principale è solo un pianeta attorno al quale orbitano un sacco di argomenti satellitari, intuizioni che vengono fuori quasi per caso dal dialogo tra i due coautori, e che dimostrano quanto fossero attenti nei confronti di una realtà che hanno saputo anticipare con una lucidità incredibile.
Tra le visioni profetiche di Virilio e Baj (ricordo che la prima edizione del testo risale al 2002) emerge soprattutto il timore della mondializzazione, ben prima che scoppiasse la crisi globale di cui gli autori evidentemente avevano già avuto il sentore; d’altra parte all’epoca già si parlava di New Economy, citata nel saggio. Ma hanno anche avuto un occhio lungo nel capire quanto Internet sia non tanto un veicolo di informazioni quanto di pubblicità. È quasi ironico, ma perfettamente congruente con quanto hanno elaborato, che i due abbiano spesso fatto riferimento alla funzione vaticinante dell’Arte, spingendosi a dire che il Cubismo avesse anticipato gli orrori della guerra o addirittura che il morbo della mucca pazza fu predetto da Damien Hirst con la sua celebre opera della mucca sezionata in formalina. D’altra parte uno dei criteri ideati per giustificare l’esistenza stessa dell’Arte Contemporanea è quello secondo cui serve ad anticipare gli scenari futuri e a interpretare la realtà.
Al di là di questo (che a ben vedere non è necessariamente un attributo positivo dell’Arte) il saggio è pervaso da un cupo pessimismo, soprattutto nelle parti di Virilio: viene impietosamente evocato uno scenario in cui l’Arte moderna e contemporanea sono viste come mezzo per riciclare soldi in un contesto di narcocapitalismo diffuso, che contribuiscono ad alimentare e consolidare.
Viene poi anticipato il rischio della scorporizzazione, per cui tutto diventa sempre più virtuale. E a questo si collega la teorizzazione di un “darwinismo delle immagini” imposto dalla pubblicità, per cui le immagini hanno solo un ruolo funzionale, devono essere efficaci e produttive per la marca a cui sono associate: da ciò il rischio che disegno e pittura vengano uccisi a favore di forme d’arte più immediatamente violente o formalmente iperrealiste. E da un certo punto di vista si può dire che a quasi vent’anni da queste considerazioni gli autori abbiano centrato il punto, anche se ovviamente i peana per la morte della pittura che periodicamente vengono levati non hanno mai trovato un vero riscontro, né mai lo troveranno.
Al di là di queste considerazioni pessimistiche, al lettore contemporaneo viene offerto un ulteriore motivo di rammarico nel leggere a pagina venti l’elenco stilato da Baj degli intellettuali che si opposero alla strategia guerrafondaia delle gallerie e case d’asta, oggi tutti morti tranne Lipovetsky…
Ma alla fine della lettura si può concludere con una nota quasi ottimistica: Virilio, scomparso nel 2018, si lamenta dei «nichilisti sorridenti» Berlusconi, Bush, Chirac… per sua fortuna gli è stato risparmiato quello che lo avrebbe aspettato oggi!
In appendice il breve saggio Un’estetica della smaterializzazione di Tiziana Villani.