Nato in Inghilterra nel 1951, John Bolton è noto per lo stile iperrealista della maggior parte dei suoi lavori, con cui ha illustrato molti fumetti e realizzato varie copertine. In realtà le frecce al suo arco non si esauriscono qui e Bolton ha anche realizzato lavori di gusto preraffaellita e persino umoristici. Ha un po’ rappresentato una prima testa di ponte alla “British Invasion”, il fenomeno per cui autori inglesi, prevalentemente sceneggiatori, vennero reclutati dalla DC Comics per rinnovare il mercato del fumetto USA a metà degli anni Ottanta.
La sua fama resta legata principalmente ai colori di Marada la Lupa, agli adattamenti dei racconti horror di Clive Barker, al suo contributo ai Books of Magic di Neil Gaiman e alle storie brevi in appendice alle ristampe dei primi episodi degli X-Men rinnovati da Chris Claremont (anche lui ospite a Lucca 2019).
Questa chiacchierata è stata possibile grazie alla collaborazione di sua moglie e dello staff di Edizioni Inkiostro presso cui Bolton era presente per istoriare da par suo le copertine appositamente lasciate bianche della tiratura limitata del volume John Bolton Artbook, non a caso già esaurita. Anche se tra i vari fan c’è stato pure chi ha preferito farsi scrivere una lunga dedica piuttosto che farsi fare un disegno.
Luca Lorenzon (LL): Alcune immagini che ho visto nei suoi libri mi sembrano realizzate col computer.
John Bolton (JB): No, non uso il computer. Lavoro con gli acquerelli oppure utilizzo una tecnica mista ma il computer non lo uso per disegnare o colorare. Non disprezzo il mezzo in quanto tale, ma preferisco affidarmi alle tecniche classiche. Il computer e la tecnologia in generale vanno benissimo per la documentazione, per trovare i riferimenti giusti, ma io uso tecniche classiche.
LL: Certo che i suoi disegni sono spesso molto sfumati, il risultato è molto realistico: allora usa forse l’aerografo?
JB: No, nemmeno quello! Anche in questo caso, non disprezzo il mezzo in sé ma non è quello che uso io.
LL: Quando parla di mixed media, cioè tecnica mista, a cosa fa riferimento? Usa acrilici, oli…
JB: Certo, un po’ di tutto. Ovviamente il discorso cambia a seconda del lavoro; alla base c’è sempre la matita. Tutto dipende chiaramente dal tipo di effetto che voglio creare, dall’atmosfera che deve evocare il disegno. Certe immagini o certe storie richiedono dei colori più intensi, altre dei colori più tenui oppure dei chiaroscuri molto netti, dei neri molto profondi. Per questo accanto (o al posto) dell’acquerello uso acrilici, tempere, inchiostri di china…
Lasciami dire però che il vero problema è la carta. La carta è molto importante e bisogna trovare quella adatta che abbia la porosità giusta. È fondamentale perché il colore reagisca bene e quindi per controllare le sfumature e la profondità.
LL: Anche André Juillard ha sottolineato l’importanza di trovare la carta giusta per poter lavorare, sia in bianco e nero che a colori.
JB: Io ci metto settimane intere per trovare la carta che mi serve. L’ultima volta l’ho trovata solo dopo un mese.
LL: Anche il tipo di lavoro condiziona la tecnica che userà per realizzarlo?
JB: Torniamo al discorso che facevo prima: per delle illustrazioni con un soggetto fiabesco va benissimo l’acquerello, se però devo ad esempio lavorare su Batman allora devo usare anche altri materiali: è un personaggio “forte” che richiede un altro trattamento per sottolineare le sue caratteristiche.