Don Rosa, l’erede di Carl Barks nella costruzione della mitologia dei paperi Disney, non è una persona che le manda a dire. Sin dalla prima domanda della conferenza stampa esprime tutto il suo rancore nei confronti del colosso Disney. Le New Duck Tales non avrebbero preso proprio nulla dal suo lavoro: o meglio, lo avrebbero preso ma come nel caso di Carl Barks lo avrebbero trasformato e snaturato. Solo il fatto che esista un libro come Disney’s Art of Don Rosa è un insulto. L’aneddotica stempera un po’ la tensione: nel suo stand ha allestito artigianalmente un cartello in cui ha scritto a chiare lettere «qui non si fanno Duck Tales!». Il suo stand è d’altra parte uno dei più ambiti di Lucca, e Don Rosa ne è consapevole. Ricorda infatti amaramente che negli Stati Uniti è praticamente sconosciuto, mentre in Europa il suo nome e quello di Carl Barks sono molto noti. D’altra parte in Nord America ben poche persone leggono fumetti, e il settore è saturato dai supereroi.
Parlando dei suoi fan, dice che ha una fila di trecento persone sotto la pioggia battente di questa Lucca per farsi fare un autografo, e questo lo energizza. I festival europei sono ben diversi da quelli statunitensi. In America non sanno nemmeno che Zio Paperone & co. nacquero nei fumetti prima di approdare al cinema e in televisione. Mi sembra un’esagerazione, ma quelli che effettivamente hanno visto le file per Don Rosa mi riferiranno che probabilmente le persone in attesa erano ben più di trecento. Anche l’incontro che terrà al Teatro del Giglio sarà gremitissimo.
A una domanda precisa Don Rosa risponde seccamente che non tornerà a fare fumetti. Il sistema Disney ha distrutto la sua passione per la narrazione. E il “bello” è che la Disney lo sfruttava perché sapeva che lui amava quello che faceva. Don Rosa ha dovuto brevettare il suo nome, mettergli un trademark per evitare che la Disney continuasse a pubblicare materiale col suo nome che non incontrava affatto il suo gradimento. Uno specchietto per la allodole, insomma. Senza mezzi termini definisce quel materiale “crap”. Adesso invece la Disney deve almeno chiedere la sua autorizzazione prima di stampare e distribuire libri, calendari, ecc. col suo nome sopra. La mole di materiale che è stata fatta uscire prima che brevettasse il suo nome ha avuto un effetto indiretto un po’ spiacevole: la gente pensa che sia diventato milionario, ma non è affatto vero.
Parlando di cose più leggere e piacevoli, racconta come la passione di fare fumetti gli venne da ragazzino, quando la sorella era andata via di casa per studiare e gli aveva lasciato un mucchio di fumetti dei generi più svariati. Così iniziò a farne di propri, magari insieme ad altri amici, ispirandosi a quello che leggeva. All’epoca, negli anni Cinquanta, i supereroi non monopolizzavano ancora il mercato statunitense, e c’erano fumetti di tutti i tipi: western, avventurosi, comici…
Ovviamente Don Rosa non legge più fumetti. Figurarsi: quando mai un fumettista legge fumetti? Forse in Francia o in Belgio. Nel suo caso ci sono dei motivi precisi: oggi quello che vede è un mondo standardizzato, un universo dominato dai supereroi in cui ogni cinque anni si azzera tutto per ripartire da capo nella speranza di attirare nuovi lettori.
Don Rosa non ama molto il Paese in cui vive, non si limita a lasciarlo trapelare ma lo dice a chiare lettere. Fosse per lui, si sposterebbe a vivere in Messico se ne avesse la possibilità materiale, ma come si fa a spostare senza danni le sue collezioni di flipper e di auto storiche? Quasi ad anticipare la domanda legittima di chi potrebbe chiedergli come mai può permettersi simili collezioni se non è diventato milionario, dice che di auto storiche ne ha solo due, e nemmeno troppo costose…