A modo mio mi prendo cura di te, saggio-romanzo in chiave musicoterapica di Emanuela Cangemi, appena uscito per i tipi di Armando Editore, è un’opera che si distingue per il suo alternare testo narrativo e saggistico all’interno del medesimo contesto.
Ambientato in un paesino del Sud, verosimilmente Belsito, paese di origine dell’autrice, il romanzo racconta le vicende – ma sarebbe meglio dire il percorso umano – di sei personaggi amici fin dall’infanzia che pur seguendo strade diverse non smettono mai di sostenersi l’un l’altro e di condividere passioni e sofferenze. Angelo, Antonio, Carmelo, Francesco, Giovanni e Leonardo crescono in un’atmosfera di fede, rigore e rispetto dove la musica assume un ruolo più rilevante del semplice sottofondo. Ogni situazione, sia positiva che negativa, sembra trovare un equivalente in una canzone di Guccini, Mina o Branduardi, o in una cavatina dei Pagliacci, e questo li aiuta a superare le difficoltà e ad affrontare la vita di petto. Il lettore ha così modo di seguire l’evolversi delle loro vite, e dei loro rispettivi matrimoni, immergendosi in un percorso che porta alla scoperta di opere liriche, compositori, composizioni musicali, suoni armonici, consonanze e dissonanze.
La trama è strutturata come un testo teatrale in quatto atti, di sei scene ciascuno più finale, che seguono un preciso filo logico e consentono di collocare meglio le vicende narrate dal punto di vista temporale. Il primo atto si svolge intorno agli anni Cinquanta/Sessanta con introduzione dei personaggi e delle loro aspirazioni; il secondo vede la comparsa delle future mogli con fenomeni musicali associati all’allargamento del gruppo e ai rapporti tra i vari componenti; il terzo introduce le nuove generazioni e l’ultimo parla della malattia e della morte e va a collocarsi dopo gli anni Duemila. Se all’inizio il fulcro della storia sono i sei amici e i loro rapporti con coetanei, familiari, compaesani e sacerdote, in seguito gli eventi si focalizzano su Carmelo e Giuseppina, sulla malattia che lei si trova ad affrontare e sulle conseguenti reazioni di amici, parenti e, soprattutto, del figlio piccolo e del padre di lei.
La storia ricorda per ambientazione la Brescello di Don Camillo e Peppone, e infatti all’interno del testo un esplicito riferimento ai due protagonisti delle storie di Guareschi e alle loro scaramucce c’è. Tuttavia, soprattutto nei passaggi in cui si inseriscono le spiegazioni di ambito musicale – vedesi ad esempio il discorso sui suoni armonici – la lettura risulta un po’ difficoltosa. All’interno di un romanzo, infatti, non si è abituati a confrontarsi con una descrizione specialistica, seppur metafora del rapporto esistente tra i personaggi. L’obiettivo del testo è però proprio questo: cercare di avvicinare alla musica anche coloro che non possiedono alcuna base in merito, e in questo senso è possibile che il lettore comune, immedesimandosi nelle vicende dei protagonisti, trovi una valida motivazione anche per scoprire un mondo a lui ancora estraneo.
I capitoli sono per lo più molto brevi, con qualche rara eccezione legata soprattutto alla storia della musica, e il narratore onnisciente cerca di mantenere un certo distacco per quasi tutto l’arco della narrazione salvo farsi coinvolgere in prima persona, con la voce di Elia, figlio di Giuseppina, nel momento in cui si parla dei temi scolastici scritti ricordando le storie del nonno e della malattia della madre. In sottofondo aleggia sempre una profonda fede, che può essere cattolica ma anche no, visto che i valori morali descritti dall’autrice sono l’amicizia, l’amore e soprattutto il rispetto e l’educazione in qualsiasi circostanza, tutte forme di prendersi cura dell’altro.
È una storia coinvolgente che in più garantisce una piacevole incursione nel mondo della musica e la descrive anche come possibile via di fuga dalla sofferenza quotidiana. Questo rende il libro meritevole di attenzione e di apprezzamento.
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