A giudicare da quanto compare sul sito di Walter Chendi, questa Maledetta Balena ha avuto una gestazione molto lunga, non meno di tre anni. Difficile dire se la sua pubblicazione solo adesso, agli inizi del 2016, sia dovuta al certosino lavoro di documentazione che sicuramente Chendi ha intrapreso, oppure a una certa impermeabilità del mercato italiano a proposte così particolari, anche se vengono da un autore vincitore del prestigioso Gran Guinigi.
La storia ha per protagonista Giovanni Dardini che, a seguito del trauma subito durante un attacco nemico (reso con modalità splatter precedentemente sconosciute a Chendi), viene ricoverato per poi essere riassegnato come cuoco su un’altra nave.
L’anno è il 1943, ma non viene mai dichiarato ufficialmente e lo si può evincere da alcuni accenni nei dialoghi, anzi sembra un dettaglio volutamente lasciato nel vago visto che quando qualcuno sta per fornire queste informazioni viene ostentatamente zittito o bloccato da qualcosa. Anche l’ambientazione sembra essere lasciata nel vago (esisterà davvero il paese di San Nereo?), contribuendo a creare un’atmosfera sospesa e sognante che ben si adatta alla condizione di perenne attesa della “maledetta balena”.
Giovanni viene infatti inviato come cuoco sulla Kosbörg, una nave che da tre anni si trova abbandonata a se stessa con un equipaggio ormai ridotto all’osso – solo sette marinai, compreso il protagonista, sui quindici iniziali e contro i trenta necessari a pattugliarla e tenerla in ordine.
Questo avviene su un piano temporale, quando Giovanni ha ventiquattro anni: Maledetta Balena procede infatti su due binari paralleli e accanto alla trama portante c’è la narrazione di quello che accade al Giovanni ottantenne ricoverato in ospedale e preda della malattia e dei medicinali che gli fanno reinterpretare la realtà circostante a modo suo (Giovanni, d’altra parte, aveva già qualche problema a distinguere la realtà dalla fantasia, visto il suo stato di frequente dormiveglia che il trauma subìto ha intensificato).
Dopo che Giovanni ha conosciuto la pittoresca ciurma della Kosbörg, il comandante gli riferisce di alcuni maneggi che sta portando avanti, approfittando della situazione cristallizzata della nave, e lo rende partecipe anche di altri segreti: il più importante è la presenza a bordo di sua figlia Liliana, nascosta agli altri membri dell’equipaggio.
La situazione precipita quando due malintenzionati di San Nereo riescono a riunire una squadra di malviventi e, con l’aiuto di un basista nella “maledetta balena”, assaltano la Kosbörg alla ricerca dei suoi tesori reali o presunti.
Al precipitare della situazione nel 1943 corrisponde una netta sterzata anche nell’epoca contemporanea, e a quel punto il fumetto prenderà una piega frenetica e ancora più appassionante. I due piani narrativi arriveranno quasi a fondersi in una sola narrazione fino al liberatorio finale e con una rivelazione sull’identità del protagonista che il lettore più attento avrebbe potuto già sospettare.
Pur partendo da una situazione di surreale immobilismo forse memore di Dino Buzzati, Chendi si abbandona sin da subito a una scrittura non lineare, a uno sconvolgimento dei piani narrativi, persino a qualche occasionale rottura della quarta parete. Scelte dettate forse dalla volontà di smorzare certe situazioni che sarebbero risultate eccessivamente cruente se narrate in maniera troppo realistica.
In quest’ottica credo che si inseriscano anche i dialoghi volutamente e compiaciutamente artefatti con cui si cerca di ricostruire la parlata del periodo in cui è ambientata la parte bellica della storia. L’aspetto stilistico più marcato rimane comunque l’uso creativo delle onomatopee che diventano in più di un’occasione dei fregi o degli elementi decorativi quasi narrativi, e costituiscono un ulteriore livello di distacco dalla storia con i loro colori accesi.
Per quel che riguarda i disegni, Chendi ha abbandonato la ligne claire propriamente detta per concentrarsi su dettagli e tratteggi, ma d’altra parte questo percorso era già intuibile dai suoi ultimi lavori. Il lettering – cosa rara di questi tempi – è stato fatto a mano, mentre i colori sono stati realizzati al computer, con esiti felicissimi rispetto alla loro resa “psichedelica”, per quanto essi risultino meno efficaci nei rari casi in cui il mare viene rappresentato con effetti iperrealistici.
Il volume ha quasi lo stesso formato de La Porta di Sion e anch’esso è cartonato, ma stavolta la resa dei colori è migliore. In appendice dieci pagine di schizzi preparatori, studi e layout che testimoniano l’accurato lavoro di documentazione eseguito da Chendi.
Ciao, ho apprezzato anch’io la storia di Chendi, e ho twittato il link a questa recensione.