La recente scomparsa di Harper Lee, premio Pulitzer per il romanzo Il buio oltre la siepe, oltre a rappresentare un evento luttuoso per il mondo della letteratura mondiale, riporta alla ribalta il problema del razzismo, un problema drammatico e, per certi versi, inspiegabile. Ogni volta che i mass media diffondono la notizia di un atto di discriminazione o di violenza razziale, mi domando cosa possa spingere un essere umano a infierire gratuitamente su un altro essere umano e chi o cosa lo autorizzi a comportarsi così. Quale formazione ha ricevuto? Cosa ha fatto la società, in particolare la scuola e la famiglia, per educarlo al rispetto delle differenze, in generale? A me, ad esempio, i miei genitori hanno insegnato ad aver riguardo di tutto e di tutti, mi hanno fatto sentire un esserino in mezzo ad altri miliardi di miei simili, abbarbicati ad una sfera instabile, alla deriva nelle profondità dell’universo. A completare la mia formazione sociale hanno provveduto gli insegnanti, le buone letture e i buoni film.
Nato come romanzo nel 1960, Il buio oltre la siepe è diventato un film, premiato con tre Oscar e dichiarato dal presidente Obama simbolo culturale dell’antirazzismo. Gli interpreti sono quanto di meglio si poteva trovare all’epoca nell’ambiente hollywoodiano: Gregory Peck, nel ruolo di Atticus Finch; Mary Badham, in quello della piccola Scout Finch; Phillip Alford, in quello di Jem Finch; Robert Duvall nella parte di Boo Arthur Radley; Brock Peters in quello di Tom Robinson; etc. La regia è di Robert Mulligan, le musiche di Elmer Bernstein e la produzione di Alan Pakula. La vicenda, filtrata attraverso i ricordi d’infanzia di Scout Finch, si svolge a Maycomb, un’immaginaria località dell’Alabama, ai primi degli anni Trenta, un periodo in cui il Ku Klux Klan imperversava ancora in alcuni Stati del sud. Qui, l’avvocato Atticus Finch conduce un’esistenza tranquilla, prendendosi cura dei figli, Scout e Jem, orfani della madre, morta improvvisamente quando i ragazzi erano molto piccoli. La vita di Scout e Jem si divide tra i giochi e la curiosità per quanto accade nel loro piccolo mondo. I due sono interessati a Boo Radley, un uomo considerato pazzo, che vive in una sorta di auto-esilio, nella: “Casa maledetta”, battezzata così dalla fantasia infantile. I due ragazzi tentano di avvicinarsi spesso a quel luogo, per vedere in faccia il suo inquilino, ma puntualmente scappano, perché ne hanno paura. A Scout e Jem, presto si aggiunge Dill, un esile ragazzino, che è andato a vivere a Maycomb, presso sua zia, perché abbandonato dai propri genitori. I tre provano più volte a sbirciare nella casa di Boo, per carpirne i segreti, finché non scoprono, con grande sorpresa, che questi sta elargendo loro dei piccoli doni, che deposita nel cavo di un albero. Da quel momento i ragazzi cominciano ad avere meno paura di lui.
Un giorno, un agricoltore, un certo Bob Ewell, noto a Maycomb come ubriacone e violento, si reca dallo sceriffo per denunciare Tom Robinson, un uomo di colore, con l’accusa di aver sedotto sua figlia. Il giudice Taylor affida ad Atticus Finch l’incarico di difendere Robinson, che comunque proclama la propria estraneità alla vicenda. L’avvocato Finch, con l’aiuto della piccola Scout, riesce a evitare che i propri concittadini, in preda al più sfrenato odio razziale, lo lincino e durante il processo arriva a dimostrare pure la falsità dell’accusa di stupro, ma la giuria, influenzata dalla mentalità che vige in città, emette ugualmente un verdetto di colpevolezza. Robinson, ormai disperato, piuttosto che attendere il ricorso in appello, decide di evadere durante la traduzione in carcere. A questo punto mi fermo, per non svelare ulteriori sviluppi della storia (che comunque presenta alcuni avvincenti colpi di scena) e non togliere allo spettatore il gusto di scoprirli da solo, attraverso la visione del film, una pellicola imperdibile, che è arduo riassumere, perché contiene ricostruzioni d’ambiente e atmosfere di grande realismo, che possono essere apprezzate solo dinanzi allo schermo, oppure leggendo il romanzo della Lee. Attraverso le immagini filmiche o le parole del libro sembra di avvertire il clima locale, il profumo della vegetazione estiva e il gradevole tocco della brezza serale. Nella pellicola, volutamente in bianco e nero, per accentuarne il realismo, la voce narrante e le note del commento musicale generano una forte suggestione, mentre alcune scene finali risultano dei cammei di altissima poesia.
Il buio oltre la siepe è un film serio, di straordinario rigore narrativo, uno dei capolavori assoluti della cinematografia mondiale, che vede un grandissimo Peck impegnato in un’interpretazione calda e misurata, degna di figurare nell’albo d’oro del cinema. Anche la regia di Mulligan è intelligente, equilibrata, rispettosa del romanzo e soprattutto del pubblico, coinvolgendolo nella vicenda con naturalezza, senza “strappi”, invitandolo a una serie di riflessioni sui bambini e su ciò che va insegnato loro, in modo non pedante, dogmatico o retorico, ma attraverso l’esempio e le testimonianze di vita vissuta. Così, la piccola Scout, seguendo di nascosto le udienze del processo Robinson, impara precocemente cos’è l’ingiustizia e capisce che suo padre è un giusto, un eroe, un individuo che, in nome dell’uguaglianza sociale e della difesa dei diritti umani, si mette contro la parte più retriva del paese, subendone le amare conseguenze. Il piccolo Jem, da parte sua, capisce che bisogna conoscere bene le persone, prima di poterle classificare.
È un paese arroccato su se stesso, quello descritto nella storia, un pezzo d’America brancolante nel buio dell’ignoranza e dei tabù. Il film dimostra, in definitiva, che il mondo ha bisogno di persone come Atticus Finch, in quanto una parte del genere umano, nonostante si proclami aperta ed evoluta, stenta ancora ad accettare l’altro, il “diverso”, che invece andrebbe rivalutato, riscoperto, con occhi puri e innocenti. Non si tratta di passare da un estremo all’altro, ovvero dalla diffidenza totale alla fiducia cieca e acritica, ma a un’apertura serena, scevra da sovrastrutture e pregiudizi, che favorisca la conoscenza dell’altro. Proprio questo concetto è contenuto nella scena in cui Finch è costretto ad abbattere un cane idrofobo che, per quanto “incolpevole”, potrebbe nuocere ai suoi figli e agli abitanti di Maycomb. Anche nel finale è da sottolineare una frase illuminante, il messaggio più esplicito della storia che viene proferito dalla stessa Scout, ormai matura: “Non riuscirai mai a capire una persona, se non cerchi di metterti nei suoi panni, se non cerchi di vedere le cose dal suo punto di vista”. La siepe che i bambini del film non hanno il coraggio di oltrepassare è la linea di demarcazione di un confine fisico, che separa la casa dei Finch da quello del temuto Boo Radley, ma simboleggia pure il limite mentale che non permette di superare i propri preconcetti, quei preconcetti dovuti all’ignoranza, al fanatismo, alla convinzione di detenere la verità e di essere in qualche modo superiori agli altri, circostanze che inducono a creare dei bersagli o dei capri espiatori, sui quali scaricare i propri limiti e le proprie colpe. È questa, in sintesi, la possibile spiegazione sulle cause psico-sociologiche della discriminazione sociale e razziale, fenomeni deprecabili, che squalificano non tanto chi li subisce, ma chi li pratica e li alimenta, collocandolo fuori dal consesso civile. E il Buio oltre la siepe è un’opera che è riuscita a coniugare etica ed arte e, superando il banale intrattenimento, ha dato il suo piccolo contribuito per l’umano progresso.