Trieste Film Festival - locandinaSandu Patrascu è un uomo qualunque. Un uomo sposato, con figlio tredicenne, che tiene molto alla quotidianità che, giorno dopo giorno, è riuscito a costruirsi: le lunghe file presso gli uffici competenti per cambiare targa alle auto (attività che gestisce con la moglie) e le mattinate trascorse al parco con il cane con il quale partecipa alle mostre cinofile. Per Sandu, ogni giornata è identica all’altra e ogni ora è ben organizzata senza che il ritmico ripetersi delle stesse situazioni gli venga mai a noia. Un giorno, tuttavia, succede qualcosa che rischia di distruggere quel castello così mirabilmente costruito: una ragazza del piano di sotto viene trovata morta, con ogni probabilità assassinata. E Sandu non è completamente estraneo alla faccenda; qualche giorno prima, infatti, ha sentito uno dei vicini litigare con la giovane e quindi non gli risulta difficile intuire il coinvolgimento dell’uomo in quanto accaduto. È questa la base su cui si sviluppa la pellicola Un etaj mai jos (Un piano sotto), di Radu Muntean, presentato alla ventisettesima edizione del Trieste Film Festival dopo essere stato proiettato al Festival di Cannes 2015 all’interno della Sezione Un Certain Regard. I presupposti per credere che si tratti del classico film alla Hitchcock, con predatore e preda destinati a scontrarsi poco prima della fine, ci sono tutti, eppure non è così. Il regista Radu Muntean, infatti, rinuncia alla suspense tipica dei thriller ad alta tensione e punta molto di più sul lato umano dei due protagonisti: l’uno impegnato a preservare quel trantran quotidiano che tanto ama e l’altro, giovane e sprovveduto, intento a scoprire il vero motivo per cui non è stato ancora denunciato alla polizia.

Lo spettatore si trova a dover affrontare una situazione per certi versi inaspettata, dove quello che conta non è più l’azione, o l’agire dei personaggi, ma piuttosto la loro staticità, il loro rimanere immobili all’interno di un contesto in cui ci si aspetterebbe una reazione. Da questo ne consegue la totale indifferenza che i protagonisti sembrano manifestare per la vita di quell’umanità che li circonda e che loro non vogliono venga a incrinare la loro esistenza. Molto emblematica, da questo punto di vista, è la scena in cui Sandu si ritrova, la sera, seduto sul divano, con alcuni amici, intento a guardare la partita di calcio: mentre tutti cominciano a offendere pesantemente la giovane assassinata, dandole anche della “prostituta”, lui ha una reazione stizzita, con conseguente tentativo di difesa della ragazza, ma questa sua reazione non si traduce in un atto pratico; egli, infatti, non pensa minimamente a denunciare il giovane che sospetta di omicidio perché questo vorrebbe dire finire coinvolti in quella “merda”, come da lui stesso definita, da cui vuole solo stare alla larga.

Un etaj mai jos (Un piano sotto)

Radu Muntean non cerca di giustificare i personaggi della sua opera, né di giudicarli, ma lascia, piuttosto, che sia lo spettatore a trarre le dovute conclusioni e a scegliere da che parte stare: quella dell’indifferenza totale atta a preservare la propria “gabbia dorata” o quella del coinvolgimento diretto con il rischio di mandare a monte quanto si è costruito con tanta fatica.

Di diversa fattura, ma contenuto ugualmente profondo, è invece il lungometraggio che si è aggiudicato il Best Long Feature Film di questa ventisettesima edizione del Trieste Film Festival: A Szerdai Gyerek (Il figlio del mercoledì) dell’ungherese Lili Horváth, già vincitore, nel 2015, dell’East of the West Award del Karlovy Vary International Film Festival. In questo caso, la storia ruota attorno a Maja e a Krisz, giovanissimi genitori della periferia di Budapest, che vivono soprattutto di espedienti e che, in più di un’occasione, hanno anche trasgredito la legge. Maja nutre un profondo affetto per il bambino, attualmente ospitato in un orfanotrofio, luogo nel quale anche i due protagonisti sono stati allevati, e cerca in tutti i modi quell’occasione di riscatto che le permetta di occuparsene personalmente. L’occasione arriva grazie a un progetto di microcredito per aprire una lavanderia nel quale vengono coinvolte altre tre persone che cercheranno in tutti i modi di convincere Maja a essere responsabile e a rispettare le regole.

A Szerdai Gyerek (Il figlio del mercoledì)

La pellicola ha il suo punto di forza proprio nel personaggio principale di Maja che, trovandosi a quel bivio che separa l’adolescenza dall’età adulta, prova un più che giustificato conflitto interiore tra il desiderio di vivere una vita non disciplinata da leggi specifiche e la voglia di diventare una madre responsabile in grado di garantire un futuro al proprio bambino.

La regista Lili Horváth tratteggia una figura di giovane donna a cui conferisce grande credibilità proprio grazie alle numerose sfaccettature caratteriali che la contraddistinguono.