Quello che mi sta succedendo. Diari e deliri di un giovane intraperdente (gioco di parole quest’ultimo, tradotto magistralmente – e non senza qualche difficoltà, dall’originale emperdedor) segna la conferma di un grande talento del fumetto spagnolo, Miguel Brieva. Questo novello Robert Crumb iberico dipinge un universo parallelo talmente assurdo da divenire iperreale, ovvero più reale del reale – nella sua riproposizione della permanente crisi e postmoderna condizione liquida. Il suo segno infatti è liquido, polveroso ed “espanso” in quanto capace di vedere e trasfigurare la realtà mostrandola aumentata o meglio diminuita in stile Ubik.
Rimanendo nel tema principe caro trattato da Philip K. Dick in quasi tutte le sue opere, la realtà sembra scomparire e trovare il suo alter ego in un terreno di confine dove regna il nonsense. L’ironia che serpeggia lungo tutta la storia è molto prossima alle gesta narrate prendendo spunto dalla tangenziale intergalattica della famigerata Guida di Douglas Adams – che quasi fa capolino quando tutti i segreti del mondo sembra siano posseduti da un uomo che sonnecchia in una veranda al confine di una terra di nessuno.
L’incipit è un capolavoro che prende a piene mani da un immaginario alternativo nel quale la terra viene ricoperta da strati di fogliame (quasi come nel videoclip di Bachelorette di Bjork) ma prende le mosse dalla profonda inquietudine che affligge un protagonista che viene snobbato dalla realtà del mondo del lavoro non meno che dagli oggetti che lo circondano. Il tenebroso e liminale mondo degli uffici pubblici per l’impiego – terminale (in tutti i possibili sensi) umano di una gioventù post laurea lasciata alla deriva, viene descritto benissimo attraverso la figure della psicologa (che gli dà l’idea di fare un diario della sua depressione) e tramite l’espediente grafico di una sostanza che ricorda quasi le tecno-sondine di Minority Report.
In breve, mentre sprofonda in un mondo che deve molto (anche visivamente) al comic underground americano dei Freak Brothers e del già citato Crumb, l’alter ego dell’autore si ritrova circondato da piccoli animali frutto della sua immaginazione potenziata e distorta dal suo continuo uso di sostanze stupefacenti. Anche qui il riferimento a una certa controcultura di opposizione antisistema e anticapitalista è evidente, mentre il protagonista vaga senza speranza in una waste land così lontana (esteriormente) eppure così vicina (interiormente).
Il fatto che molti oggetti che lo circondano (portasaponi e water inclusi) gli diano lezioni di economia politica e cerchino di intavolare dei discorsi con lui di prima mattina, ricorda da vicinissimo anche i fenomeni ontolalici[1] subiti da Alfio Betiz, protagonista de Il Mondo così com’è, quando gli oggetti parlano tra loro generando delle allucinazioni visive e auditive degne di una puntata di Ai confini della Realtà.
In un mondo che straparla, non sorprende che anche i portasaponi e il water inizino a sentenziare le loro profezie sullo stato dell’economia mondiale con esiti esilaranti, similmente all’avventura “psichica” della coppia Tiziano Scarpa e Massimo Giacon. Novello Mr Natural senza fede né religione, il protagonista vaga in un orizzonte di eventi dal sapore primordiale, descritti in maniera spiazzante e sprezzante insieme, esattamente come facevano a suo tempo Robert Crumb e i Freak Brothers.
la realtà non è altro che un’allucinazione collettiva
(Frank Zappa)
Un reportage onirico e cupo di un tempo decadente che ha nella sovraesposizione della crisi uno dei suoi pilastri (af)fondanti, come le fondamenta di una Casa Usher destinata a venire giù, nonostante l’happy end.