Trieste Science + Fiction (locandina di Mario Alberti)La quindicesima edizione del Festival della Fantascienza Science + Fiction, appena conclusasi a Trieste, ha dimostrato ancora una volta che il modo migliore per sconfiggere le proprie paure è assecondarle. E nel caso in cui non si riuscisse nell’intento, ci si può sempre consolare pensando che finché ci saranno la fantascienza e l’horror a salvarci dalla realtà che ci circonda riusciremo a sopravvivere.

Trentasei pellicole, di cui ventidue anteprime, e un ricco calendario di incontri collaterali hanno tenuto compagnia per sei giorni al pubblico, triestino e non, giunto da tutta Italia e anche dall’estero per assistere a uno dei pochi eventi incentrati su un genere cinematografico da molti trascurato e da altri considerato minore. A ben rifletterci torna alla mente una delle dichiarazioni rilasciate da Gianni Canova a Giulio Muratore nel suo libro Italia Horror Underground: “È difficile che l’horror riesca a penetrare in una cultura come la nostra, dove il cinema è essenzialmente un cinema perbenista, consolatorio, forzatamente ottimista che mal tollera i fantasmi del genere. Personalmente sono convinto che l’horror sia un genere omeopatico, quanto più ti fa paura tanto meglio ti aiuta a sopportare i veri orrori quotidiani”[1].

[Rec]4 - locandinaTra i film proiettati, l’austriaco Goodnight Mommy, di Veronika Franz e Severin Fiala, vincitore del Méliès d’Or e in uscita in Italia nel 2016, si distingue per l’abilità con cui riesce a sfruttare una delle figure più inflazionate del cinema di genere, quella della madre, e inserirla in un contesto narrativo in grado di confondere lo spettatore al punto da indurlo a chiedersi se la realtà sia quella vissuta dai personaggi o quella vista sullo schermo. [Rec]4: Apocalypse, di Jaume Balagueró, in compenso, ci costringe, per la quarta volta, a fare i conti con le nostre paure più recondite attraverso il personaggio della giornalista Ángela Vidal di nuovo alle prese con il devastante virus che si era annidato in un vecchio edificio di Barcellona e che ora si è insediato dentro di lei, mentre Frankenstein, di Bernard Rose, traccia un ritratto molto commovente del mostro rivelando quanto possa essere crudele la razza umana quando cerca di perseguire i suoi folli obiettivi.

Per quanto riguarda l’ironia che spesso caratterizza diverse delle pellicole presenti al Festival, una nota di merito va a Dio esiste e vive a Bruxelles, di Jaco Van Dormael, nelle sale italiane dal 26 novembre, in cui un Dio costantemente impegnato a infliggere terribili sofferenze all’umanità si trova costretto a pagare le conseguenze della ribellione di sua figlia che, con la complicità di Gesù Cristo, invia al mondo intero un SMS indicante il tempo che resta da vivere a ogni individuo. Il surrealismo che contraddistingue la pellicola la rende incredibilmente comica e offre al pubblico uno spunto per riflettere sulla propria esistenza e sulle scelte che finiscono per influenzare il destino di ognuno di noi.

Dio esiste e vive a Bruxelles

Un altro film di rilievo è No men beyond this point, di Mark Sawers, dove, in un mondo immaginario, il femminismo ha raggiunto un livello talmente estremo che le donne sono in grado di riprodursi senza bisogno di un partner e non praticano più alcuna attività sessuale generando solo femmine. Il trentasettenne Andrew che, come i pochi uomini non confinati in riserve, fa il domestico, finisce per innamorarsi di una delle donne per cui lavora e questo potrebbe contribuire a evitare l’estinzione della sua razza. La pellicola è strutturata come un mockumentary che si sviluppa muovendosi sempre sul filo del rasoio tra comicità e tragedia.

Il premio Asteroide, per il miglior lungometraggio di fantascienza, è stato assegnato a Wyrmwood, dell’australiano Kiah Roache-Turner, per: “L’uso ingegnoso delle convenzioni del genere, combinato con idee originali e con una nuova interpretazione del repertorio dello zombie movie”.