Chissà cosa avrebbe detto Wes Craven se avesse assistito all’omaggio che, quest’anno, gli è stato riservato nell’ambito della quattordicesima edizione del Festival internazionale del cinema e delle arti I Mille Occhi, tenutosi a Trieste dal 18 al 23 settembre, con un’anteprima di due giorni a Roma. Probabilmente avrebbe sorriso di fronte a quell’episodio di Ai confini della realtà, da lui diretto per la stagione 1985-1986, che conclude degnamente la partecipazione del regista alla celebre serie tv[1]. The Road Less Travelled (L’altra strada in italiano) si è rivelata, in effetti, un’ottima pellicola di apertura per la nuova edizione del festival triestino. Le tematiche in essa affrontate si riallacciano alla perfezione a quanto si è visto dopo, con quel senso di inadeguatezza che finisce per provare ogni essere umano quando, nella sua vita, si trova di fronte a un bivio decisivo.
Se il protagonista dell’episodio di Craven è tormentato da “l’altro se stesso” che sarebbe diventato se non avesse disertato la guerra del Vietnam, lo sfollato di Lo sconosciuto di San Marino (1948) soffre di una perdita di memoria, che gli impedisce di ricordare la sua identità, e viene spinto all’autodistruzione proprio dalla scoperta del “vero se stesso” che non rammentava di essere stato. Sulla stessa lunghezza d’onda si muove anche La chiamavan Capinera (1957), ispirata all’omonima canzone, che mette in scena un personaggio femminile talmente ossessionato dai fantasmi della sua condizione sociale passata, come è tipico dei drammoni di quegli anni, da rovinarsi con le proprie mani nell’errata convinzione di avere il destino segnato fin dall’infanzia. Storia di una minorenne (1956), in compenso, pur basandosi sulla medesima idea di partenza cerca di infondere nello spettatore una certa speranza di riscatto: la giovane Rossana, anziché pensare al futuro e alla strada ancora da percorrere per realizzare i suoi sogni, si lascia influenzare negativamente dalla scoperta di essere figlia di una donna che fa la cartomante in un baraccone da circo. Questo sarà motivo di una forte crisi psicologica che però l’aiuterà, anche, a capire quali sono le persone che veramente contano per lei.
Per quanto riguarda il lato documentaristico, merita una segnalazione Il cinema è una bomba: Da Ferrania a Cinecittà (1989), in cui la voce narrante di Giuliano Montaldo ripercorre, con il contributo di coloro che hanno avuto modo di viverla come esperienza diretta, la storia della Ferrania, la ditta produttrice di pellicole per il cinema, tra cui Totò a colori, che negli anni Venti si era insediata in una ex fabbrica di esplosivi molto attiva nel periodo della Prima Guerra Mondiale. Il Laboratorio teatrale di Luca Ronconi (1977), per la regia dell’ungherese Miklós Jancsó, già proiettato l’anno scorso all’interno della trasmissione televisiva Fuori Orario, permette, invece, di esplorare l’universo pasoliniano da un insolito punto di vista: quello dell’allestimento del Calderón, ispirato a Pedro Calderón de la Barca e al suo dramma in versi La vida es sueño, con un’ambientazione che richiama la Spagna franchista del 1967 e dove la protagonista, Rosaura, è un altro di quei personaggi che non riesce a sottrarsi al contesto sociale che la circonda.
Il premio Anno Uno 2015 è stato assegnato al portoghese Vítor Gonçalves, fondatore della Trópico Filmes, la cui opera di debutto, molto acclamata, Uma Rapariga no Verão (Una ragazza d’estate), fu considerata dall’Harvard Film Archive uno dei migliori film portoghesi degli anni Ottanta. Da quel momento, il regista ha lavorato soprattutto come docente presso la Escola Superior de Teatro e Cinema di Lisbona, per poi realizzare una seconda opera importante, A Vida Invisível (La vita invisibile) nel 2013. In entrambi i casi si tratta di pellicole profondamente riflessive, dove la vita e la morte sono onnipresenti, e in cui i protagonisti sembrano costantemente alla ricerca di quel sé che non riescono ad afferrare e che continua a sfuggirgli.