Lo scenario all’interno del quale si svolge un’azione, spesso, invece di fungere da semplice sfondo, condiziona e muove l’azione stessa.
È questo il caso: siamo a Gerusalemme nell’inverno in bilico tra il 1959 e il 1960. E questo non è un dettaglio. Fa freddo, piove spesso e tra i suoi vicoli malinconici camminano i protagonisti di questa storia. Gerusalemme li guarda muoversi, li muove, Gerusalemme è in loro, nelle loro parole, nelle loro menti.
Giuda, l’ultimo romanzo di Amos Oz, è la storia di tre esistenze, di tre tristezze diverse, così distanti per attitudini e per anagrafica, che finiscono per intrecciarsi loro malgrado e condividere pezzi di vita.
Shemuel Ash ha appena interrotto gli studi. Promettente studente universitario abbandona d’improvviso le ricerche per la sua tesi sulla figura di Gesù in una prospettiva ebraica. Ragazzo riccioluto e barbuto, chiuso nel suo pesante pastrano, Shemuel è un tipo perso nei suoi pensieri. Frequentatore del circolo socialista, ammira Che Guevara e la rivoluzione cubana. Lasciato dalla ragazza si abbandona al fallimento. Insofferente ai genitori e alla realtà che lo circonda decide di rispondere ad un biglietto trovato quasi per caso dove si offre vitto e alloggio in cambio di qualche ora di conversazione con il vecchio padrone di casa.
Gershom Wald è il vecchio invalido padrone di casa che trascorre il suo tempo tra lo studio e la stanza da letto. Ha perso un figlio, Micah, nella battaglia di Ab Al Wad, nella guerra del 1948. La sua foto campeggia solitaria sulla parete di fronte al suo giaciglio.
Gershom si abbandona a interminabili monologhi, conciona animatamente con Shemuel, poi parla per ore al telefono con un misterioso interlocutore. Dorme, mangia e sorseggia tè. Gershom è un vecchio disilluso, arrabbiato con la vita e con se stesso, logorato dal senso di colpa per la morte del figlio.
Nella casa vive anche Atalia, una donna algida e attraente, più vecchia di Shemuel di parecchi anni. È la vedova di Micah. Si prende cura del vecchio senza slancio, fredda e composta, di poche parole, trascina il ragazzo in una relazione dai contorni evanescenti.
Questi sono i tre personaggi e non vi occorre sapere altro di loro se non che, alla fine, tutti e tre hanno molto da recriminare alla vita e lo fanno, a modo loro, con rabbia e disperazione.
Su di loro si staglia una quarta figura, Shaltiel Abrabanel, il padre di Atalia, morto alcuni anni prima, uomo eclettico, teorico del sionismo, compagno di Ben Gurion, portatore dell’idea che la nascita dello stato di Israele fosse un grosso errore, convinto invece che la via da seguire dovesse essere quella di una fraterna convivenza con gli arabi.
Shaltiel Abrabanel è il cardine attorno cui ruota l’intero romanzo, che sviluppa la sua riflessione a partire dalla figura del traditore.
Siamo tutti traditori, ci suggerisce Oz, tutti, prima o poi nella nostra vita tradiamo qualcuno o qualcosa: i nostri genitori, le nostre aspettative e quelle di chi ci sta attorno.
Amos Oz provoca, con acume e vivacità. Ci scaglia contro un assunto che al momento pare improponibile: la rivalutazione del tradimento in chiave rivoluzionaria. Perchè solo chi tradisce rompe con la tradizione e procede in avanti.
Anticonformista per natura, il traditore spezza le consuetudini e apre una breccia per il progresso. Prevede i tempi, muove, agisce, cambia. Chi tradisce, come tutti i precursori dei tempi nuovi, rimane incompreso, disprezzato. Lo stesso Oz è stato spesso, in Israele, accusato di tradimento, per le sue opinioni sul conflitto considerate troppo morbide.
Il profeta Geremia è chiamato traditore. Come Abramo Lincoln che ha abolito la schiavitù. Churchill che ha fatto a pezzi l’impero britannico e De Gaulle che ha posto fine al colonialismo francese sono stati accusati di tradimento. Per non parlare di Ben Gurion che nel novembre del 1947 ha accettato la spartizione della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo. Anwar el-Sadat, che ha fatto la pace con Israele, è stato ammazzato perché lo consideravano un traditore. Begin che ha restituito il Sinai all’Egitto, Rabin che ha fatto la pace con i palestinesi: anche loro sono stati chiamati traditori. In breve, è un club di cui sono fiero di fare parte. E in questo mio romanzo, tra i fantasmi che abitano l’ultima casa di Gerusalemme, c’è anche Giuda Iscariota, l’oggetto della tesi di laurea che Shemuel lascia bruscamente a metà. Giuda è un traditore, ma è anche il più fedele discepolo di Gesù. È, soprattutto, colui che lo ama più di ogni altro. (Intervista di Elena Loewenthal ad Amos Oz pubblicata il 27.10.2014 su Kolòt: http://www.kolot.it/?s=sono+un+traditore+e+me+ne+vanto)
Ma Giuda è più di una provocazione, per quanto forte e corrosiva. Tocca, con potenza e grazia, temi immensi: la nascita di Israele, la guerra del 1948, il sionismo, il socialismo, il conflitto israelo-palestinese, l’atavico antisemitismo sviluppatosi a partire dalle figure di Gesù e Giuda. Parla di amore e odio. E lo fa regalandoci un romanzo corale, riuscendo in ciò che a pochi è concesso: mettere in scena prospettive differenti, con-fondendole sapientemente senza che nessuna di esse vada a perdersi nell’altra.
Mi piace definirlo un romanzo cubista, dove la realtà viene smontata in ogni sua parte e srotolata davanti agli occhi affinché possa mostrare il davanti, il dietro, i lati.
Al centro del romanzo c’è il pensiero, terso e cristallino. Il pensiero che dà forma all’uomo e alla storia, che ci muove ognuno verso l’Altro. Il pensiero come capacità di ascolto e comprensione, come perseveranza di pazienza. La verità va al di là dei singoli individui, è spesso prospettiva. La verità accoglie nel suo grembo gli opposti.
Come Michelangelo, la forza della narrazione di Oz sta nella sottrazione. Togliere il superfluo e arrivare alle parole, così nude, così pure. La sua visione è radicale e per essere tale dev’essere pulita da ogni elemento inutile.
Giuda è un Gran Romanzo, di quelli che una volta letto ti ritrovi un pochino diverso, di quelli che vorresti gridare a tutti Leggetelo! Regalatelo! Diffondetelo!, ma anche tenerlo stretto in grembo come un privilegio raro. Ecco, sapere che qualcuno al mondo è capace di scrivere così è un privilegio di cui godere. Prendetene a piene mani, Giuda è pura gioia.