Allestimento della mostra La Grande Trieste Ha aperto l’8 febbraio, e chiuderà il 3 maggio, la mostra fotografica dal titolo La Grande Trieste, incentrata sui fastosi anni che precedettero la prima guerra mondiale, allestita nello spazio espositivo del Salone degli Incanti in Riva Nazario Sauro.

La mostra, si legge sul sito ufficiale, ha lo scopo di divulgare la conoscenza di un periodo di grande sviluppo della città, non solo illustrando il susseguirsi di avvenimenti accaduti in esso, bensì, soprattutto, focalizzandosi sulle caratteristiche che rendevano vivace e attraente Trieste fra il 1891 e il 1914.

Lo spazio è organizzato in stanze fatte di pannelli. Sulla parete principale esterna, la citazione di uno dei protagonisti della Trieste dell’epoca introduce il tema della stanza, mentre su un’altra parete, l’ingrandimento di uno scatto particolarmente evocativo cattura l’occhio e informa sul contenuto del settore; sulle pareti interne, protette dagli sguardi dei molti che cercano di sbirciare da fuori, immagini più curiose e didascalie.

Dal bel soffitto dell’ex-pescheria, decorata con sottili cavi che riprendono i colori delle varie sezioni della mostra, senza appesantire l’ambiente, scendono le grandi stampe dei soggetti più emblematici: una vettura pronta per la corsa automobilistica Trieste-Vienna, la costruzione dell’edificio dove oggi si trovano gli uffici della posta centrale (con veduta sulla chiesa luterana di Largo Panfili) e, prevedibilmente, il corteo funebre di Francesco Ferdinando e della moglie Sofia, il 2 luglio 1914.

Le ali della mostra sono separate da una fila di teche in cui sono esposti documenti e piccoli oggetti, come contratti e libretti.

La Grande Trieste, mostra fotografica nell'ex-pescheria

Le prime fotografie sono dedicate a spiegare il rapporto con l’Austria, degenerato allo scoppio della prima guerra mondiale, ma iniziato secoli prima in una forma più simile a un’alleanza che a un dominio, ragion per cui per lungo tempo Trieste è potuta prosperare, e ancora c’è nostalgia del mitologico passato asburgico.

Una delle ragioni per cui la città è ancora legata all’ideale di benessere di quegli anni va ricercata nel fiorire del porto. Molti sono gli scatti dedicati ai cantieri navali, alle operazioni di costruzione e varo delle navi, alle compagnie di navigazione e ai viaggi sui loro lussuosi transatlantici, ma anche all’indotto di un’industria che si espande rapidamente per sfruttare la richiesta di raffinerie, torrefazioni e stabilimenti per la lavorazione delle varie merci in arrivo.

Alle spalle del porto cresce una città vivace e brulicante.

I triestini amano i divertimenti e, la sera, anche i teatri vivono stagioni entusiasmanti, con cartelloni ricchi e divi acclamati sulle scene. Di giorno, invece, proliferano gli affari; Trieste è la città delle assicurazioni, e dagli uffici cittadini delle Generali passano anche le polizze stipulate – in cirillico – ad Aleppo.
Fa parte di questa sezione l’elemento più curioso della mostra, che non è una fotografia, bensì un distributore automatico di polizze di assicurazione per il viaggio, concepito per essere collocato presso le stazioni.

Il distributore automatico di polizze assicurative esposto alla mostra La Grande TriesteSi scopre, proseguendo la visita, che non bisogna pensare a Trieste come a una città arida e interessata solo allo svago e al profitto.
Il direttore del museo di Storia Naturale Carlo Marchesetti diede eccezionale impulso all’archeologia, in quegli anni. Lo vediamo impegnato in prima persona negli scavi di Nesazio e nelle ricerche sulla villa romana di Barcola, di cui è esposto un mosaico.

Trieste, poi, è da sempre una città cosmopolita e in questi anni di prosperità hanno modo di fiorire anche le associazioni di cittadini di lingua slava. È nel 1907 che nello splendido edificio di piazza della Caserma (oggi piazza Oberdan), progettato da Max Fabiani, trovano dimora la sede del Narodni Dom, polo culturale e di intrattenimento, e il lussuoso hotel Balkan.

Il pregio della mostra La Grande Trieste, però, non è quello – pur godibile – di permettere ai contemporanei di ripassare velocemente i motivi che rendevano la propria città tanto prestigiosa, e permettere loro di cimentarsi più facilmente nello sport preferito, cioè l’indulgere in fantasticherie sulla vita dell’epoca. Accanto all’evoluzione della città mostrata attraverso fotografie, l’esposizione illustra anche l’evoluzione della fotografia nella vita di una città.

Quando, proprio tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, si diffondono le attrezzature portatili, anche a Trieste scoppia la moda della fotografia, che, da pratica elitaria per esperti o facoltosi, diventa un hobby alla portata di più persone. Si moltiplicano i fotografi dilettanti, ed è grazie a loro che oggi abbiamo gli scatti migliori. Gli attori in posa nei costumi di scena, infatti, non affascinano quanto la gente comune colta nei gesti quotidiani, o i lavoratori che svolgono attività che oggi fatichiamo a immaginare possibili.

La Grande Trieste è una mostra che vale la pena visitare, ma che, come la città che celebra, sembra avere il difetto di non credere abbastanza in se stessa.
Come Trieste, non manca di buoni motivi per farsi apprezzare, né di generosità: prima dell’uscita sono gratuitamente disponibili le stampe di alcune delle foto esposte, per portare a casa il proprio “catalogo componibile”. Come Trieste non sfrutta fino in fondo il suo potenziale: non esiste un catalogo da acquistare e il merchandising si riduce a poster e locandina (rispettivamente 3,00 e 1,50 euro).

Sconveniente – ma qui l’organizzazione della mostra non dovrebbe avere responsabilità – anche la scelta di collocare nello stand pubblicitario antistante l’ingresso il calendario del ciclo di Lezioni di storia, che si tengono la domenica mattina presso il teatro Verdi; il pubblico di questa mostra è di certo lo stesso delle conferenze, ma molti sono stati confusi dalla dicitura “ingresso gratuito” e hanno cercato, in buona fede, di dirigersi direttamente all’esposizione, costringendo il personale della biglietteria a interrompere il proprio lavoro per dare spiegazioni.

Più grave, la mostra sembra concepita più per blandire il senso di appartenenza alla città che per promuoverne l’immagine al di fuori dei confini comunali. Una città che deve puntare a diventare meta turistica irrinunciabile non sembra volersi presentare al visitatore. Ad eccezione della citazione di Joyce, non una riga all’interno del perimetro espositivo, è scritta in inglese. Il turista italiano (e con lui più di un indigeno) resta molto probabilmente smarrito davanti ai testi in sloveno e, è lecito presumere, anche davanti a quelli in tedesco.

Non ci accaniremo – qui – sui refusi nei testi dei pannelli informativi, temendo che già lo faranno le sempre più numerose scolaresche che ogni anno affollano la città proprio nel periodo di apertura della mostra. Ciò che lascia un po’ d’amaro in bocca non sono le piccole pecche in quanto tali, ma il complessivo senso di incompiutezza che, da un evento che vanta di essere stato concepito alla fine del 2013 e progettato per tutto il 2014, non ci si aspetta.

Una didascalia non proprio impeccabile della mostra La Grande Trieste

L’esposizione sembra, comunque, avere il successo che tutto sommato merita.
Chi scrive l’ha visitata la mattina del primo giorno, lasciandola prima delle 12.00, ossia a meno di due ore dall’apertura al pubblico, quando sulla parete del catalogo componibile erano rimaste appena tre foto su diciotto, e ben quindici blocchi da un centinaio di cartoline l’uno erano già esauriti; segno, se non di un afflusso-record, di grande gradimento da parte di molti visitatori.