Il Centre Pompidou è il primo museo europeo a presentare una retrospettiva completa dell’opera di Frank Gehry, figura chiave dell’architettura (post)postmoderna.
La sua riflessione, influenzata da ispirazioni artistiche e analisi strutturale di forme, materiali e composizioni, ha rivoluzionato l’estetica dell’architettura, il suo ruolo sociale e la sua iscrizione nella vita urbana al punto che le sue opere, tanto amate quanto criticate, hanno conquistato oggi il valore di icona.
L’esposizione, composta da 225 disegni, 67 modelli e una miriade di documenti audiovisivi, attraversa tutta l’evoluzione del linguaggio plastico di Gehry e ci racconta quanto l’architettura contemporanea sia intuitivamente, profondamente, “gehriana”.
È a Los Angeles che l’architetto debutta, frequentando la scena artistica californiana del periodo: Ed Ruscha, Richard Serra, Claes Oldenburg, Larry Bell, Ron Davis. E sarà l’incontro con le opere di Robert Rauschenberg e Jasper Johns a determinare la sua costante interrogazione sul ruolo e le potenizalità dell’architettura.
La relazione dell’oggetto al suo ambiente, la scelta di materiali industriali ed economici e la decomposizione delle geometrie elementari degli edifici costituiscono la primissima fonte di ispirazione. In seguito, la ricerca di una forma organica si accompagnerà ad una sempre maggiore complessificazione degli spazi: nulla deve essere scontato, nelle sue produzioni.
Ma se la forma ha un ruolo fondamentale nelle architetture gehriane (pensiamo solo al Museo Guggenheim di Bilbao o il Walt Disney Concert Hall di Los Angeles) non è tanto per inibirne la funzione, quanto per poter attribuire all’architettura nuove dimensioni funzionali: quella narrativa, per esempio. Gli edifici di Gehry, infatti, sembrano raccontarci una storia sulla città e sull’architettura che li ha preceduti, sembrano prendere posizione nel tessuto urbano che li accoglie, comunicando con gli edifici già esistenti.
La produzione di spazi interstiziali complessi e la rielaborazione dei principi canone della costruzione (orizzontalità/verticalità, linearità/curvilinearità) diventano la cifra massima della sua espressione architettonica. Le nozioni di facciata e monodimensione vengono meno di fronte alla sempre maggiore flessibilità permessa dalla simulazione digitale, che fusiona struttura dell’edificio e decoro. La compenetrazione di volumi e la loro fluidità produce un’architettura fuori da ogni norma: organica, viva, trasportata dal flusso della vita urbana.
E la retrospettiva apre le sue porte in un momento importante per Gehry e Parigi: il 27 ottobre 2014 è stata inaugurata la Fondation Luis Vuitton, cuore di vetro e volute nascosto nel Bois de Boulogne e destinato a raccogliere la collezione Arnault. L’ultimo lavoro di Gehry, ispirato alla vita della capitale francese e soprattutto ad altre sue importanti istituzioni come il Grand Palais, la cupola di vetro che sovrasta gli Champs Élysées, vuole essere “un edificio che varia ed evolve in funzione dell’ora e della luce, al fine di dare un’impressione di costante ed effimero cambiamento, ad immagine di un mondo in trasformazione continua”.
Per la realizzazione della Fondation Luis Vuitton, Gehry si è lasciato ispirare dal XIX secolo, scegliendo la leggerezza trasparente del vetro e il gusto per le passeggiate punteggiate di scoperte. Dal vetro curvato al millimetro dei 3600 pannelli che compongono le ali della Fondazione all’inedito processo di concezione, ogni tappa della costruzione ha oltrepassato i limiti di una architettura codificata per dare vita ad un edificio unico, un veliero da sogno, espressione e veicolo della cultura artistica contemporanea.