Travagliati-04Le immagini hanno un ruolo fondamentale nella coraggiosa testimonianza dei giornalisti impegnati negli scenari di guerra: ma cos’è diventato oggi il fotogiornalismo?

L’era digitale e il parallelo sviluppo di software e tecnologie per la manipolazione delle immagini hanno imbarcato questo tipo di produzione fotografica nella difficile prova di dover rendere conto ad ogni passo della propria autenticità, poiché di una fotografia che si dichiara documentaristica, prima della dimensione estetica è quella veridica ad essere considerata imprescindibile.

“L’autenticità – quella del file, della prova, dell’atto fotografico – si è imposta come catalizzatore delle credenze contemporanee nella verità fotogiornalistica” spiega Vincent Lavoie in un articolo per ArtPress. E come può il mezzo fotografico farsi garante della propria stessa autenticità? In due modi diversi: cercando un approccio amatoriale, quindi più genuino, brut e spontaneo, e accettando di sottoporsi a scrupolosi indagini informatiche che attestino l’originalità dello scatto.

Fotogiornalismo oggi: un progetto amatoriale

Tutto iniziò il 7 luglio 2005, giornata spartiacque nella storia del fotogiornalismo.
Complice la difficoltà nel raggiungere il luogo dell’accaduto, la metropolitana, per la prima volta il New York Times e il Washington Post illustrarono un fatto mediatico (gli attentati di Londra) tramite foto citizen, ovvero fatte dai cittadini. Come spiega Lavoie, “l’avvenimento rivela la velocità con cui  il settore professionale riconobbe nella produzione amatoriale la nuova essenza del fotogiornalismo”.

Nel 2010, durante la copertura giornalistica della guerra in Afghanistan, Damon Winter del New York Times e David Guettenfelder della Associated Press realizzarono dei reportage nella provincia di Helmand con degli smartphone. Questo permetteva loro di avvicinare più discretamente le truppe americane di cui volevano immortalare la vita quotidiana, gli spostamenti, il riposo. Momenti intimi che richiedevano che un ingombrante obiettivo restasse assente.

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Fotogiornalismo oggi: un nuovo regime di veridicità

Esattezza, onestà, correttezza sono i termini che connotano la rettitudine fotografica. Alla luce di questo, sono previsti nuovi codici deontologici e un rafforzamento delle misure di controllo dell’autenticità delle immagini, in modo particolare tramite la criminalistica, ovvero quel ramo della criminologia che costituisce l’insieme delle tecnologie utilizzate per l’investigazione criminale. Di fatto, continua Lavoie, “la criminalistica interferisce con le più prestigiose istanze di legittimazione del fotogiornalismo, sottoponendo le immagini più note agli implacabili esami degli esperti.”
Il recente caso della fotografia di Paul Hansen selezionata come vincitrice durante il Word Press Photo Of The Year 2013 e poi (ingiustamente) accusata di essere un fotomontaggio è un esempio della delicatezza e dell’attualità di queste tematiche.Travagliati-01

Se la conferma di autenticità è legittima e preserva gli obiettivi, il ruolo e la portata di una produzione fotogiornalistica di qualità, i regimi di verità ai quali sono sottoposte le fotografie di stampa possono però indurre uno smembramento dei loro stessi presupposti, irrigidendo e sminuendo il ruolo del professionista, costretto ad abbandonare la ricercatezza dello scatto a vantaggio di un approccio che favorisca l’emergere di un sentimento di immediatezza e attendibilità.

Fotogiornalismo ieri: Kati Horna e la metamorfosi fotografica

Travagliati-03In un momento di analisi e metamorfosi dell’universo fotogiornalistico, il Jeu de Paume di Parigi ha deciso di dedicare quest’estate una retrospettiva a Kati Horna. Fotografa engagée, audace e cosmopolita, Kati Horna coprì, su richiesta del governo repubblicano spagnolo, la guerra civile spagnola tra il 1937 e  il ’39. Ci lascia così quasi 270 negativi – conservati oggi al Centro Documental de la Memoria Histórica di Salamanca – che sono la testimonianza di un fotogiornalismo toccante, anticonformista e anticipatore.

L’emozione sorge autentica da uno sguardo che codifica il reale nella perfezione formale del bianco e nero, e gira le spalle al fronte per concentrarsi sui civili. Da sempre manipolatrice dei propri scatti, per Kati Horna la fotografia non deve essere lo specchio della realtà, ma un mezzo di trasformazione sociale; un’espressione metaforica e poetica del mondo, piuttosto che la sua esatta riproduzione. Una prospettiva che, nell’universo mediatico attuale, ossessionato dai concetti di immediatezza e trasparenza, deve far riflettere.

Ecco un video dedicato alla sua produzione.