Downton Abbey e il suo delizioso intreccio di storie di nobili e domestici promette di essere il racconto di una delicata transizione, quella dell’ambiente aristocratico inglese che, con il suo apparato di eleganza, merletti e sale da tè, viene ribaltato dall’arrivo della modernità.
Ma, ahimé, la modernità è lungi dallo spuntarla, e la quarta serie ne è una tediosa conferma. Reticenze e conformismo tornano infatti a consolidare il nostalgico spirito della casata Crawley, e questo si nota tanto più nelle figure femminili, cuore della serie.
Per chi non conoscesse la storia, tutto inizia con una tragedia inattesa e popolarissima, il naufragio del Titanic del 1912, che per una serie di abbastanza ovvie vicissitudini porta Mary, aristocratica primogenita, a scegliere come marito Matthew Crawley, ragazzone della upper class, nonché erede della proprietà in cui Mary vive con la famiglia. Questo mixaggio è la base della narrazione, e si propaga in una miriade di micro eventi che coinvolgono tutti i personaggi della serie.
Così, se il primo cameriere Alfred aspira all’emancipazione sociale cercando di diventare chef al Ritz, Lady Edith, più sfortunata e bruttina delle due sorelle, s’improvvisa giornalista e inizia a occuparsi di tematiche femminili. Una giovane aristocratica che decide di lavorare.
Un simbolo di emancipazione femminile? La macchina da scrivere dovrebbe essere la controbilancia, la ricca cugina della macchina da cucire e del frigorifero che arrivano nelle cucine di Downton?
Forse, ma Downton Abbey non ci racconta proprio tutta la storia.
La figura di Lady Edith piace molto, e come spiega Lily Rothman in un articolo pubblicato sul TIME sul ruolo del femminismo in Downton, “la serie fa di lei una delle ultime eroine del femminismo nelle fiction, dopo Peggy Olson di Mad Men e della Virginia Johnson di Master of Sex.” Ma la storia di Lady Edith non è certo quella di tutte le donne della sua epoca.
Nelle prime due stagioni Lady Edith, la secondogenita della famiglia, sembra destinata a restare sempre in secondo piano: poco considerata in famiglia, abbandonata dai suoi pretendenti, diventa invidiosa delle sorelle e quasi antipatica. Ma la metà della terza stagione ci riserva una sorpresa, e Lady Edith trova una nuova dimensione nella serie, divenendo un’eroina dei diritti delle donne, e decidendo che se è destinata a restare una ricca zitella, tanto vale essere una ricca zitella eccentrica, che si guadagna da vivere occupandosi della condizione femminile.
Lily Rothman ci spiega però che, se uno dei punti forti di Downton è il modo in cui la serie utilizza i personaggi per illustrare la storia sociale, la posizione di Lady Edith come baluardo del femminismo è lontana dall’essere solida come una roccia. E lo fa citando Susan Kent, storica del genere e di storia britannica, che spiega come la storia di Lady Edith non faccia veramente giustizia alla complessità degli anni ‘20 per quanto riguarda il femminismo dell’epoca.
“Quello che si può notare negli anni successivi alla guerra è un’immediata e reale reazione negativa contro le vittorie ottenute dalle donne” spiega la Kent. “Noi vediamo una Edith che diventa giornalista, ma non vediamo gli sforzi che erano fatti in quel periodo per rimettere le donne in casa il più velocemente possibile. Questo include – aggiunge – violenze fisiche contro le donne che avevano un lavoro. D’altronde, Downton non tratta bene tutti i suoi personaggi femminili – basta vedere cosa succede ad Anna in un episodio della quarta stagione – ma il nascente femminismo di Edith è stato invece trattato con i guanti”.
La vittoria di Edith non è quindi quella di tutte le donne, bensì quella di un tipo ben preciso di donna. Illustra non tanto la crescente importanza assunta del femminismo, ma il fatto non contestuale che i soldi possono comprare praticamente tutto, inclusa anche l’influenza. Questo non significa che il racconto sia falso: le persone con un’educazione universitaria, e soprattutto le donne della classe medio-alta stavano iniziando a fare progressi in quel periodo. “Ma è comunque importante ricordare – continua la Kent – che lo fecero fronteggiando un’opposizione molto più seria della disapprovazione di un padre o il dispiacere di un potenziale spasimante, e che avevano davanti a sé ancora una lunga strada”.
E se Edith risulta essere una facile eroina, le altre protagoniste della serie si dimostrano tutt’altro che spavalde, mostrando che il cambiamento della situazione femminile è lontano dall’essere una conquista.
Come spiega David Fallon sul Daily Beast, Mary, che dopo la morte di Matthew si scopre essere la sola ereditiera di Downton, sembra il personaggio perfetto per incarnare una forma di femminilità inedita per l’epoca. Destinata a coprire un ruolo decisivo nella gestione della proprietà, la si vede più volte discutere, pienamente a suo agio, con tavolate di uomini. Ma in realtà non si capisce mai esattamente di cosa parli, e non riesce in tutta la stagione a prendere alcuna risoluzione determinante. A livello umano, ritorna algida e prevenuta come prima di conoscere Matthew.
Rose MacClare, la cugina frivola e sciocchina – e uno dei personaggi meno sviluppati della serie –, si innamora di un uomo di colore. Questo potrebbe essere un vero shock, ma scopriamo, con una punta di sollievo per l’onore della famiglia, che lo fa solo per indispettire la madre. D’altronde, la sua figura viene immediatamente riscattata, poiché nell’ultimo episodio debutta in società.
E se esploriamo le figure femminili dei piani bassi, scopriamo che Anna, il cui struggente amore con Mr. Bates è tempestato da disgrazie e calamità, non riesce a superare la violenza che ha subito. Non certo per se stessa. La sua unica preoccupazione riguarda la reazione di Mr. Bates: si vergogna di guardarlo ancora in faccia. Ha paura della sua vendetta. Teme per la sua incolumità.
In questo modo, Anna rinuncia definitivamente ad avere una complessità che le sia propria, e la sua personalità si spalma sull’insaziabile figura di Mr. Bates, tenero e implacabile allo stesso tempo, fedele e misterioso, stratega e bonaccione.
La sensazione è che al barone Julian Fellowes, creatore di Downton Abbey, le donne della serie non stiano proprio simpatiche e che, in un impeto di nostalgia, si rifiuti di far evolvere i suoi personaggi, lasciando la serie riflettere se stessa piuttosto che la società di cui parla.
La speranza è che la quinta stagione ci riservi qualcosa di più spontaneo ed entusiasmante, perché i costumi e le belle scenografie non bastano certo a catturare l’attenzione e risparmiare dagli sbadigli.