Concepire una monumentalità nella visione dell’immagine in movimento è una sfida che Bill Viola affronta costantemente. La mostra-retrospettiva al Grand Palais di Parigi (dal 5 marzo al 21 luglio 2014), traccia le origini della straordinaria opera di un video artista che, oltrepassando i limiti apparentemente concessi dal mezzo audiovisivo, riesce a modificare i nostri abituali concetti di immagine e monumento.
Il mezzo audiovisivo è d’altra parte per forza di cose confinato al riquadro dello schermo, perimetro della rappresentazione che, in quanto finestra sul mondo, secondo le rinascimentali regole della prospettiva albertiana[1], si apre alla narrazione piuttosto che alla scultura. Una narrazione basata quindi sulla marcatura del confine del dispositivo, cui lo spettatore aderisce assecondando il patto finzionale di una storia raccontata « come se » fosse vera. Queste regole che il cinema porta agli estremi, attraverso la sala oscura e l’annullamento dello spazio fisico della ricezione, attraverso “l’état de reverie” imposto/voluto dallo spettatore, da Bill Viola vengono aggirate e in parte distorte per costruire un’esperienza totalmente nuova, immersiva, a tratti narrativa, ma la cui essenza principale risiede senz’altro nella sua monumentalità.
Bill Viola sembra infatti disfarsi delle obbligazioni imposte dal dispositivo per modellarne la sostanza come si trattasse di marmo, tela o colori ad olio, modulando dunque, come ovvia conseguenza, non soltanto l’immagine, ma anche il tempo, la durata. Il movimento apre allora un nuovo modo di percepire le immagini pittoriche – che, infatti, all’arte rinascimentale sono spesso ispirate – e la continuità dell’esperienza cinematografica.
“Il tempo è la materia prima del film e del video – afferma Viola – Tecnicamente può trattarsi di telecamere, pellicola o cassette ma ciò che si lavora, è il tempo. Si creano degli eventi che si dispiegheranno su una sorta di supporto rigido incarnato da una cassetta o una pellicola, che permetteranno di dar vita all’esperienza dello scorrimento. In un certo senso, è come un papiro, una delle forme più antiche di comunicazione visiva.”
Abbiamo individuato tre assi utili a capire la struttura dell’opera di Bill Viola in relazione ad alcune tematiche che al tempo stesso uniscono e avvicinano questi monumenti audiovisivi alla pittura, la scultura e il cinema. Il quadro, lo spazio e la durata ci aiuteranno ad orientarci nell’opera di uno dei più grandi artisti contemporanei.
Quadro
Le opere di Viola richiamano la pittura e gli affreschi rinascimentali. La durata vi introduce tuttavia una inaspettata dimensione narrativa.
Catherine’s Room (2001) è un polittico di cinque schermi LCD in alta definizione fissati al muro che raccontano la vita intima di una donna che, da mattino a sera, nella sua camera, effettua dei gesti quotidiani. La dimensione pittorica e i riferimenti ai quadri fiamminghi (la luce dalla finestra, i colori dei vestiti, le pareti nude) sono evidenti, ma la durata vi aggiunge il senso dei cicli della natura cui la vita della donna sembra adeguarsi.
Goign Forth By Day (2002) è una sorta di kolossal, per dimensioni, produzione e impatto. Un’intera sala è occupata da cinque proiezioni. Le immagini sono proiettate direttamente sui muri senza schermo, come gli affreschi del rinascimento. Si tratta di un’opera narrativa, divisa in cinque parti e con un climax nel momento in cui un diluvio d’acqua si abbatte su dei passanti sgorgando dalla facciata di una casa (il che ricorda l’ascensore di Shining).
Spazio
Le opere di Viola agiscono sullo spazio, lo strutturano e con esso strutturano l’esperienza percettiva degli spettatori. Diversamente dai dispositivi limitati del cinema o della televisione, la possibilità di gestire le dimensioni delle installazioni permette un rapporto con lo spazio che aumenta il potenziale drammatico dei contenuti.
In The Veiling (1995) due proiezioni video a due estremità di una sala oscura attraversano nove veli sospesi dal soffitto. Il tutto da un senso di tridimensionalità all’audiovisivo, lo spettatore tende a voler passare tra i veli per poter quasi toccare le immagini.
Tristan’s Ascension (2005) è un monumentale video al contrario che descrive l’ascensione dell’anima nello spazio dopo la morte. Una cascata d’acqua sale dal corpo di un uomo che in seguito ascende verso l’alto. Le dimensioni dello schermo e il movimento contrario della cascata d’acqua sono emozionanti: il senso dell’ascensione viene realmente trasmesso dando un effetto di straniamento metafisico. La metafisica è d’altra parte al centro dell’opera di Viola.
Durata
“Scolpire il tempo” è tuttavia l’espressione più adeguata per spiegare l’opera di Viola (espressione che lui stesso usa, e che ricorda il titolo di un bel saggio di Tarkovskij, sui cui legami, a volte manifesti, bisognerebbe indagare). È sulla durata che le immagini diventano veramente potenti e immersive. I due elementi più usati da Bill Viola sono d’altra parte l’acqua – ovunque, perenne, che cade, immerge, esplode, in tutte le sue forme – e il fuoco – immenso e spesso in connubio con l’acqua, il che aumenta la forza di entrambi gli elementi.
Il ralenti fa il resto. Tutte le immagini sono rallentate, mostrando il movimento degli elementi (acqua e fuoco) in tutta la loro plastica magnificenza.
Fire Woman (2005) mostra l’ombra di una donna davanti al fuoco prima di cadere all’indietro nell’acqua. In Ascension (2000) un uomo precipita in un paesaggio sottomarino bluastro. The Dreamers (2013) si compone di sette ritratti su schermi in alta definizione di uomini e donne che trattengono il fiato sott’acqua. Con gli occhi chiusi, sembrano sereni. L’acqua ondula sui corpi e anima i loro movimenti.
Bill Viola sembra disfarsi dei dispositivi audiovisivi per poi, al tempo stesso, recuperarne la forza espressiva. Perché, come afferma Raymond Bellour ne La querelle des dispositifs, “la cosa più sorprendente è l’effetto-film di questo dispositivo-cinema così particolare. Si tratta di un vero racconto che induce une dimensione di credenza e identificazione talmente integrale al racconto che si dimentica la situazione dell’esposizione”[2].
È allora ad una vera sublimazione del dispositivo audiovisivo, piuttosto che ad una sua distorsione, che tendono le opere di Bill Viola. Sublimazione che ne trascende le forme per svilupparne una toccante monumentalità.