Trieste Film Festival - locandinaVolendo scegliere un’immagine simbolo di questo venticinquesimo Trieste Film Festival appena conclusosi la si potrebbe individuare nella variegata umanità che partecipa o assiste alla maratona al centro del documentario Četrdesmit divi (Quarantadue) della lettone Laila Pakalnina. Una maratona che si eleva a metafora della vita stessa e che, nel suo essere accessibile a chiunque, ben evidenzia i diversi modi di affrontarla: c’è chi, come la regista, riprende l’evento dal “di dentro” e malgrado il sudore, la fatica e il caldo opprimente, continua instancabilmente a correre fino alla fine perché l’importante è raggiungere il proprio obiettivo e perseguirlo fino in fondo; c’è chi, invece, la affronta in tutta tranquillità, camminando lentamente e vivendola come un’occasione per guardarsi attorno e osservare la realtà che lo circonda; c’è chi decide di appartenere alla schiera dei volontari, che si prodigano per mantenere ben idratati i partecipanti e soccorrerli in caso di necessità, e poi ci sono quelli che la vivono da spettatori e rimangono ai margini, senza pentirsi del ruolo secondario che si sono scelti e pienamente soddisfatti del poter osservare i risultati del lavoro e dell’impegno degli altri.

Anche le pellicole che, dal 17 al 22 gennaio, si sono alternate sugli schermi del Teatro Miela e della Sala Tripcovich di Trieste seguono questa linea. Sono spaccati di umanità che mettono in scena, sotto gli occhi dell’attento e curioso spettatore, le forze e le debolezze di una serie di individui che lottano per trovare il loro posto nel mondo, e lo fanno in modo insolito, peculiare, senza ricorrere a scorciatoie o a trucchi e inganni, ma semplicemente riuscendo a mettere in risalto il loro essere diversi.
Diverso è Amon Frémon, sacerdote di rito voodoo haitiano, che, come splendidamente narrato nel documentario Sztuka Znikania (L’arte di scomparire) dei polacchi Bartek Konopka e Piotr Rosolowski, si ritrova catapultato nella Polonia socialista degli anni Ottanta e fatica a comprenderne la mentalità, lo stile di vita e le ragioni che determinano lo stato di angoscia in cui sembra sprofondare la popolazione. Il mondo dei bianchi visto attraverso gli occhi di un uomo di colore, dalla cultura e dalle credenze profondamente distanti, rende bene l’idea di quanto possano essere prive di significato le usanze di un popolo per chi non è mai entrato in contatto con esso. Frémon, in questa sua esplorazione della Polonia, subirà una notevole trasformazione che lo indurrà a compiere un rito per la liberazione di quel paese e quel popolo, fino a poco prima a lui sconosciuti, e lo spingerà a sacrificare la sua stessa identità ed esistenza con la consapevolezza, però, di aver compiuto la missione a cui era predestinato fin dalla nascita.
Bruno libero - un fotogrammaDiverso è anche Bruno, il protagonista del cortometraggio di animazione Bruno libero, del duo Daniel Maculan e Damiano Zanchetta, la cui realizzazione ha richiesto anni di lavoro. Bruno è una semplice e puzzolente cacca di cane che, per sua stessa natura, è privo di amici e viene respinto da tutti; i suoi numerosi tentativi di adeguarsi all’ambiente che lo circonda, assumendo ad esempio le sembianze di una lumaca o di una larva di farfalla, sono tutti destinati a fallire miseramente poiché nessuno è in grado di accettare il suo terribile olezzo. Alla fine, troverà un fedele compagno in un rospo, cacciatore di insetti, che di Bruno saprà proprio apprezzare quella dote innata di attirare le mosche. L’argomento, tutt’altro che ironico, si pone l’obiettivo di raffigurare, in modo semplice, la mentalità del mondo in cui viviamo, un mondo in cui la diversità, prima di essere accettata, è osteggiata.
Diverso dagli altri, ma in un modo frizzante e spensierato, è anche Enea, protagonista di The Special Need (L’amore secondo Enea) di Carlo Zoratti, un ragazzo autistico che, per sua stessa ammissione, non ha mai trovato la ragazza perché è un po’ picchiatello. Così, inizia un viaggio, alquanto surreale, in compagnia di due amici disposti a portarlo fuori dall’Italia pur di fargli vivere quell’esperienza tanto agognata. Presentato all’ultimo Festival di Locarno, e realizzato anche grazie a una raccolta fondi durata un anno e mezzo, il film, come dichiarato dallo stesso Carlo Zoratti, non vuole trasmettere un messaggio solo ai disabili ma anche, e soprattutto, alle persone comuni: “Quello che vorremmo è che, finito di vedere il film, lo spettatore avesse la curiosità e la spinta di andare a conoscere altre persone come Enea, scardinando la definizione limitante dei disabili in termini di mancanze, e superando l’idea che sono loro che dovrebbero riuscire ad adattarsi agli altri, con la voglia invece di fare il primo passo, di avvicinarsi, di saperne di più. E se funziona anche con una sola persona, be’, questo è il punto più alto che potevamo raggiungere”. La pellicola, qui a Trieste, ha vinto, ex aequo, il Premio Alpe Adria Cinema al miglior documentario in concorso.
Le differenze identitarie emergono anche dalla pellicola Aishiteru My Love di Stefano Cattini, finalista al Premio Salani 2013. Gli adolescenti in boccio, che ne sono i protagonisti, possiedono personalità molto diverse, ancora in evoluzione, che li rendono unici nel loro modo di percepire l’ambiente in cui si confrontano e nell’atteggiamento che scelgono di assumere nell’affrontare la vita e le sue contraddizioni.

The Special Need - fotogramma

Il Trieste Film Festival ha il pregio di portare alla luce delle opere di notevole valore che altrimenti rischierebbero di non trovare mai un distributore. Nel corso di questi anni, tanti sono i film e i registi che si sono affacciati sulla scena del Festival e che hanno avuto l’opportunità di farsi conoscere e di portare avanti la loro carriera. Una manifestazione di questo tipo, con le sue sfaccettature e la voglia di osare che la contraddistingue, merita la fiducia e il sostegno di tutti per proseguire su questa strada e attraversare traguardi sempre più prestigiosi.