Vies en transit (Vite in transito) è la prima esposizione personale in Francia di Adrian Paci, eclettico artista albanese che nel 1997 fugge dall’Albania per rifugiarsi, con la sua famiglia, in Italia. Arrivato qui, abbandona temporaneamente la pittura e la scultura per realizzare video che ci raccontano la sua esperienza dell’esilio, lo choc della separazione e l’adattamento ad un nuovo mondo. La mostra, che raccoglie le opere dell’artista dal 1997 ad oggi e che resterà al Jeu de Paume di Parigi fino al 12 maggio, si compone anche di dipinti, fotografie, installazioni, ma restano i video il mezzo espressivo che di Paci convince di più.
Le sue opere sono quindi essenzialmente autobiografiche, ma non solo. Uno dei sociologi che meglio approfondì il concetto di transitorietà nella società contemporanea fu Zygmunt Bauman: iscrivendosi nella cornice filosofica post-moderna di Lyotard, Bauman formulò il noto e ormai inflazionato (e criticato) concetto di “modernità liquida”, che sembra interfacciarsi alla perfezione con le opere di Paci, tentativi di ricostruire la frattura tra passato e presente, tradizioni e luoghi dell’attuale.
Se per Lyotard non era più credibile alcuna legittimazione trascendentale ed universale delle narrazioni, Bauman legge nella modernità le tracce di una liquidità sempre più diffusa (anzi, Bauman legge nel “liquidificarsi” degli oggetti i segni di una modernità in nuce), atta a indebolire qualsiasi costruzione duratura e basata su un sempre maggiore processo di individualizzazione. In questo senso, anche le relazioni tra gli individui si liquefano, e il momento dell’incontro si riduce ad esempio all’atto consumistico, realizzato in solitudine, fianco a fianco con persone che non si conoscono.
Alla voracità del consumismo è dedicato The Column (25’40’’, 2013) video realizzato ad hoc per l’esposizione al Jeu De Paume. Pretesto per un poetico viaggio tra oriente ed occidente, The Column mostra la trasformazione subita da un pezzo di marmo a partire dalla sua estrazione in una cava fino alle lunghe settimane di trasporto via mare, durante le quali viene lavorato e trasformato in una colonna romana. L’artista in una intervista con Marta Gili: “Evidentemente, quello che mi ha stimolato in The Column è la fabbricazione di una colonna occidentale da parte di un gruppo di operai asiatici in direzione verso l’Europa. Come hai precisato tu, in un certo senso è come se la colonna stesse tornando da sé.”
La ricerca di una dimensione di appartenenza a fronte di frontiere sempre più mobili e la difficoltà di ricostruire una propria identità sono il fulcro dell’opera di Paci. Centro di Permanenza temporanea, ( 5’30’’, 2007) è girato all’aeroporto di San Jose, in California, e mostra uomini e donne salire le scalette d’imbarco di un aereo. In cima alle scale, però, l’aereo non c’é, e le persone restano quindi bloccate in uno spazio di sospensione, tra terra e cielo, tra partenza e destinazione, senza sapere dove dirigersi. Ma non si tratta solo di tematiche inerenti la migrazione; questi video ci ricordano qualcosa di profondamente innescato nella cultura e nella società contemporanea. Non a caso, l’aeroporto è l’esempio chiave del non-luogo, concetto sviluppato da Marc Augé e che indicherebbe uno spazio privo di identità, dove gli individui sono passeggeri transitori e sperduti e, privati di una duratura relazione con il luogo, obbligati ad agire come passivi consumatori.
Potremmo quindi parlare di una “democratizzazione” del concetto di migrazione, nel senso che nei lavori di Paci vediamo riflessa una intera società, la nostra. Continua l’artista nell’intervista: “Io direi, in senso largo, che il “tornare da sé” è qualcosa che ci sfugge costitutivamente. L’esperienza dell’emigrazione dà forse a questa questione esistenziale una forma più concreta, e la figura dell’emigrato può essere vista come l’esempio esplicito di una condizione universale.”
Ma se per la sociologia postmoderna e surmoderna l’essere umano era destinato a restare intrappolato nell’effimero, vittima del fluidificarsi delle relazioni e degli spazi, figurante solitario di logiche che gli sfuggono e dedito ad un consumismo senza cognizione, l’arte ci concede invece una prospettiva più ottimista e, per fortuna, più realista. La figlia dell’artista in Albanian Stories (7’08’’, 1997) racconta delle storie in cui si confondono realtà e fantasia, e ai personaggi delle fiabe popolari – una mucca, un gatto, un gallo – si aggiungono sorprendentemente soldati e Nazioni Unite. “Se mi fermo a riflettere per un istante al concetto del “tornare da me” nel mio lavoro, mi rendo conto che non si tratta mai solo di nostalgia per la casa natale o la famiglia. Si tratta piuttosto di uno stato di stabilità, un legame, un’affezione ed una identificazione nei confronti di qualcosa. Per me, tornare da me non evoca solo la tematica dell’emigrazione, ma una questione più profonda inerente la ricerca di una stabilità perduta.In un contesto di trasformazione e mutazione profonda, dobbiamo elaborare delle strategie di sopravvivenza e di continuità, e l’idea di un ritorno da sé ne è parte integrante.”
Invece che una distinzione netta tra luogo e non luogo, tra affermazione e dispersione, è proprio in questa strategia di continuità che si sviluppa la grande potenzialità dell’epoca moderna. Consapevole e responsabile della propria posizione, l’essere umano ha sempre avuto e sempre avrà la possibilità di reinvestire di significato i luoghi che lo accolgono, di fondare una comunità all’interno di una prospettiva globale, di costruire una identità che sommi tradizione ed effimero. Le opere di Adrian Paci ci raccontano il dramma della separazione, lo choc per la perdita delle proprie radici, ma soprattutto l’energia e la poesia di un mondo fatto di piccoli rituali che iscrivono il passaggio verso l’ignoto in una prospettiva di continuità. Secondo l’artista, la funzione dei rituali è appunto quella di marcare un passaggio da uno stato ad un altro, creando un momento finzionale che ci aiuti ad affrontare la durezza della realtà. Il rito ha un aspetto collettivo, ma si rivolge all’individuo; è legato alla tradizione, ma accompagna dei grandi momenti di cambiamento e rinnovamento. La produzione artistica di Adrian Paci riformula i codici del rituale con affezione e allo stesso tempo distacco, cercando di proporre una prospettiva inedita sui concetti di appartenenza e prossimità.