Museo d'OrsayA scatenare la polemica è stato un articolo del giornalista francese Philippe Dagen, apparso nell’ottobre scorso sul quotidiano Le Monde: “Le numerose mostre sugli impressionisti hanno davvero uno scopo culturale, o sono un mero sistema di autofinanziamento?”. La questione è alquanto complessa.

Per il solo mese di gennaio 2013, a livello mondiale, erano previste ventuno mostre dedicate a questa corrente pittorica. Monet a Istanbul, Van Gogh ad Amsterdam, Caillebotte a Francoforte, Delacroix a Washington, per non parlare dei Neoimpressionisti a Montréal e di Dégas a Boston. “Parigi centralizza la maggior parte delle collezioni e dei mezzi”, sostiene la conservatrice museale Nathalie Bondil, durante un’intervista rilasciata al mensile L’œil, “è molto complicato organizzare un’esposizione sull’impressionismo senza il Museo d’Orsay o senza il suo sostegno”. E in effetti, l’unico sistema per sfuggire al monopolio dell’ente francese, è puntare sulle collezioni statunitensi, dove la presenza di numerose opere sparse sul territorio ha favorito il proliferare di studi in quest’ambito, con università e musei impegnati a collaborare nella realizzazione di gender studies praticamente inesistenti in Francia.

Da par suo, il Museo d’Orsay ha trovato il modo di far fruttare le numerose tele a sua disposizione attivando politiche di esportazione e di noleggio. Tra il 2009 e il 2010, il giro d’affari ha sfiorato i dieci milioni di euro, “ma”, come ci tiene a precisare il presidente Guy Cogeval, “si è trattato di un’annata eccezionale, in quanto, essendo il museo chiuso per lavori di restauro, ci è stato possibile inviare molti capolavori all’estero”. Per quanto riguarda il noleggio di mostre, la procedura era attiva già negli anni Novanta quando, per poter esporre la collezione del Museo dell’Orangerie, associato con il d’Orsay, bisognava sborsare cinque milioni di franchi.

L’ultimo grande successo è stata la mostra monotematica su Claude Monet, per la quale sono stati staccati oltre 900.000 biglietti, ma va detto che anche l’assicurazione dei dipinti raggiunge cifre da capogiro. Per Le jardin de Monet à Giverny, l’invention d’un paysage, che presentava ventotto opere dell’artista, la copertura assicurativa contro furti e danneggiamenti ammontava a 1,5 miliardi di euro.

Nana di ManetMa come sono strutturate le esposizioni? Per lo più, si tratta di monografie incentrate su questo o quell’aspetto dell’artista, o atte a focalizzare l’attenzione dei visitatori su un elemento psicologico, sociale o culturale poco noto: Degas scultore, Pissarro su carta, Manet ritrattista, Le stampe di Paul Gaugin, Van Gogh e il Giappone e, dulcis in fundo, L’impressionismo e la moda.

“I ritratti di Mademoiselle Dihau, di Degas, la Nana di Manet, il suo Repos o la sua Méry Laurent, derivano dall’arte del romanziere e da quella del moralista e, se forniscono qualche particolare sui costumi, è perché tali dettagli servono a sottolineare la posizione sociale, il mestiere o il carattere del modello, e non per rubricare le ultime novità sartoriali”, dichiara Philippe Dagen, secondo il quale l’ultima mostra allestita dal museo d’Orsay si fondava su principi quanto mai discutibili.

L’impressionismo e la moda prevedeva, in effetti, un percorso espositivo in cui circa duecento opere erano affiancate a vestiti e accessori d’epoca, al fine di dimostrare come gli artisti fossero informati sulle tendenze del tempo. “Questa prossimità”, ribadisce Dagen, “è indubbia solo per le tele dei pittori meno interessanti: James Tissot – delle cui piatte immagini colorate si fa quasi un’overdose – , Carolus Duran o Jean Béraud. Questi artisti riproducono minuziosamente gli abiti, essendo a corto di idee e di emozioni da trasmettere, perché non hanno null’altro da dipingere. Per i grandi artisti, è l’esatto contrario. L’abito è solo un elemento distintivo per comunicare idee ed emozioni singolari. Disponendo le loro opere sullo stesso piano […] la mostra induce a credere che un quadro sia solo un rettangolo di realtà fissato su un rettangolo di tela: concetto talmente povero che avremmo creduto fosse ormai sorpassato”.

La mostra trascurava inoltre la presenza, nella società francese di fine Ottocento, delle popolane. Soggetto molto amato sia da Van Gogh che da Pissarro, e dipinto più volte anche da Degas. “Gli impressionisti, e altri pittori della loro stessa epoca, si servivano della moda per elaborare una strategia commerciale efficace”, ha spiegato durante la conferenza di presentazione Gloria Groom, uno dei curatori della manifestazione. Ma sta di fatto che molti esperti ci hanno visto solo l’ennesimo specchietto per le allodole.