La nostra vecchia conoscenza Francesca Bonafini ne ha fatta un’altra delle sue (e non è neanche l’ultima).
Dopo aver partecipato alla stesura del romanzo a quattro voci Il Cavedio (Fernandel) e del saggio Sex Machine. L’immaginario erotico nella musica del nostro tempo (Auditorium), torna – insieme a Caterina Falconi – alla curatela di un’antologia, il cui filo conduttore, questa volta, è la seconda opportunità.
Si intitola, infatti, L’occasione la raccolta di racconti uscita per Galaad, che annovera, fra gli autori, oltre alla già citata Bonafini, Remo Bassini, Gianluca Morozzi e le coautrici del Cavedio Mascia di Marco, Patrizia Rinaldi e Nadia Terranova.
È proprio della Terranova il racconto che apre l’antologia, il preferito di chi scrive.
La scrittrice messinese lavora meglio di altri sul linguaggio dei suoi personaggi, che colloca nella conosciuta Sicilia, arrivando a creare, se non proprio delle maschere acustiche, caratterizzazioni ben distinte, nonostante il narratore autodiegetico, e verosimili. Il finale di questo racconto (La stagione) non è imprevedibile, ma qualunque altro sarebbe stato deludente; allo stupore del lettore, del resto, mira lo scrittore ingenuo: sono l’espressione e la forma a fare di una serie di vicissitudini una storia.
A suo modo lieto, ironico e appagante è lo spassoso finale di Ultima chance, secondo racconto dell’antologia, uscito dalla penna di Heman Zed. Qui lo stile è più ruspante, asciutto, paratattico, e le voci sono meno modulate, ma è ugualmente una piacevole lettura.
Morozzi è, come spesso accade, divertente e autoreferenziale, ed è fra gli autori che più di altri sembrano centrare il tema dell’antologia. Il suo Fantasma dei fanali passati forse non si distingue per l’originalità dello spunto, ma esaudisce alla perfezione la richiesta di inventare alternative a vite immaginarie, perché mostra con chiarezza sia il percorso “reale” della vita finzionale narrata, che le strade che essa avrebbe potuto prendere.
Con l’occasione di raccontare una storia, gli scrittori tratteggiano temi di interesse più generale, come la scelta di abortire, l’esodo dei profughi istriani, la disabilità di un figlio e, naturalmente, il rimpianto per un passato che avrebbe potuto portare a un diverso presente.
Qua e là passaggi intriganti e brucianti aforismi, come “una competenza incompleta può far più danni di una vasta, ma consapevole, ignoranza” (da Un uomo morto di Michele Governatori) o il periodo sulle casalinghe contenuto in Effetto estate (Mascia di Marco):
Avrei dovuto prestare maggiore attenzione al mio intuito, all’antica saggezza emotiva di quando ero ancora un bambino. Allora le casalinghe mi facevano paura. Quell’aria sempre truce, lo sguardo torvo e penetrante. Le parole urlate ad alta voce, sempre, anche quando non ce n’era bisogno, per richiamare l’attenzione dei familiari, del marito, dei figli, facendo leva su un’autorità domestica che gli era stata negata dal resto della società. I grembiuli tristi a stampe fiorate, le ciabatte ai piedi anche per uscire, per fare la spesa all’alimentari sotto casa.
Non tutti i racconti, ovviamente, sono al medesimo livello, se non altro perché diverse peripezie e diversi linguaggi non possono, necessariamente, avvincere e convincere allo stesso modo, e non si nega la presenza, almeno sempre secondo il gusto di chi scrive, di qualche brano pesante e qualche scelta lessicale – come minimo – opinabile.
Il racconto più maturo resta quello della curatrice dell’antologia.
Con Un volo breve, Francesca Bonafini racconta la vita com’è andata e la vita come sarebbe potuta andare di un personaggio, Enrico, la cui evoluzione si esprime, più che nella narrazione degli eventi, proprio nella formulazione di un diverso linguaggio. Lo stile è quello asciutto ed essenziale di Mangiacuore, fatto di parole precise, apparentemente quotidiane, ma mai usate per caso, lontano anni luce dalla prosa presuntuosa di chi intontisce il lettore con un lessico roboante e vuoto.
Perché – sì, resto del parere che sia il narratore a fare il racconto, in quanto il medesimo soggetto, variamente declinato, dà luogo a storie tanto diverse quanto Amleto e Il Re Leone di Walt Disney, ma è innegabile che, quando hai una buona storia, ti puoi persino permettere di ridurre il linguaggio all’osso.