Solo in un’occasione non vedevo l’ora di fuggire da un salotto: la fuliggine sui muri, i divani lerci e sfondati, le mensole rovesciate, l’odore di lettiera scaduta. Altre volte mi sarei fermata volentieri a valutare i gusti letterari guardando i libri sugli scaffali, avrei voluto annusare le spezie in vista nei barattoli, o fare domande che non mi competono a seguito di risposte che mi hanno incuriosito. 

Le case degli altri si possono dividere a grandi linee in tre categorie: quelle dei meno abbienti, pulite, vuote o ammobiliate con pesantezza. Quelle dei facoltosi: spaziose, discordanti, opulenti e impeccabili nella ricercatezza. E quelle di chi non è né povero né ricco, appartamenti che tendono ad una preoccupante somiglianza. Predomina il bianco, per paura del rischio, anche se non è ikea somiglia molto alla compassata geometria della spersonalizzazione.
Vince in originalità la vecchia con baffi e pizzetto che coabita con lugubri peluche, sono distribuiti come milizie in ogni spazio libero, guardano fissi e sorridono: “la mobilità che verrà parte da qui”.

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