La bibliografia in italiano su Bruce Springsteen è sterminata e destinata a crescere perché una peculiarità del fan di Springsteen è avere la presunzione di comprendere il nostro eroe meglio di chiunque altro e di sentirsi molte volte, di conseguenza, in dovere di divulgare al popolo la propria versione dei fatti. A mio avviso, un altro libro su Springsteen non è esattamente ciò di cui il panorama editoriale italiano ha bisogno, per diverse ragioni. Una, di marketing, è che la fetta di mercato composta da lettori-fan di Springsteen probabilmente possiede già svariati titoli sul proprio idolo e potrebbe non avvertire l’esigenza di catapultarsi in libreria ad acquistarne un quindicesimo in cui se ne magnificano le straordinarie capacità compositive e comunicative, mentre quella composta da non-fan potrebbe non nutrire interesse per l’argomento. Un’altra, più intuitiva, è che non essendo io l’autrice di alcun libro italiano, i testi nella nostra lingua sono ancora lungi dal rivelare la Verità.
Perché, dunque, un lettore (concediamo: un lettore fan di Springsteen) dovrebbe acquistare All the way home di Daniele Benvenuti? Perché mai, in altri termini, una casa editrice (Luglio di Trieste) ha scelto di dare il volume alle stampe?
Perché un libro così mancava: non è né l’ennesima biografia non autorizzata, né un’analisi della produzione, né una carrellata della carriera live. E non è solamente la descrizione dei concerti di Springsteen in Italia, come il sottotitolo Bruce Springsteen in the Italian land 1985 – 2012 lascerebbe pensare.
Il volume è, infatti, per buona parte occupato dalle recensioni precise e minuziosamente dettagliate dei concerti che Bruce ha tenuto nel nostro paese, ma, in aggiunta, contestualizza il fenomeno Springsteen-in-Italy offrendone uno studio sociologico, e propone un’analisi poliedrica del personaggio-Springsteen grazie al contributo di esperti di diversi settori.
Durante la presentazione del volume, l’autore accenna a come l’opera abbia richiesto diversi anni di indagine e lavoro, per via dei quali, nonostante sia frutto di un’idea nata in precedenza, ha visto la luce dopo testi di carattere apparentemente analogo, che hanno richiesto minore elaborazione. Il riferimento è, ad esempio, al volume curato da Greg Lewis e Moira Sharkey, Springsteen in Ireland, appassionato e delizioso volumetto sul rapporto tra Bruce e il paese del tricolore sbiadito, reso godibile in massima parte dal contributo della sottoscritta, che però, una volta osservato con più attenzione, si rivela essere distante anni luce dal metodico lavoro di catalogazione e analisi di Benvenuti.
Ciò che caratterizza il lavoro del giornalista triestino, infatti, sono proprio l’approccio e il procedimento scientifici. Non un’opera “from fan for fans”, ma uno studio rigoroso che dallo status di fan dell’autore mutua solamente la dedizione e un bagaglio di competenze accumulato in anni di frequentazione di concerti, descritti tuttavia con professionale oggettività.
Non mancano, certamente, i giudizi entusiastici, che vanno imputati all’elevata qualità dell’oggetto analizzato, sia esso lo spettacolo o il performer, piuttosto che al gusto dell’autore.
Pur essendo uno studio talmente approfondito da far pensare di essere destinato ad un pubblico di fan di Springsteen, il testo offre un inquadramento del fenomeno sufficientemente completo per essere fruito anche da un lettore non-fan. Sebbene abbia poco senso accostarsi a un musicista attraverso un libro che ne fa un’analisi, anziché che attraverso la sua produzione, un curioso che per qualche motivo volesse capire Springsteen da un libro, troverebbe in questo lavoro sufficiente materiale per scoprirne i vari aspetti.
Dal punto di vista stilistico, la scrittura è agile, frutto, credo, dell’esperienza giornalistica dell’autore, che, pur attingendo ai propri studi accademici, non indulge a toni didascalici, anzi si concede, piuttosto, qualche intervento brillante.
Non tutti contributi, però, sono omogenei rispetto allo studio principale. L’intervento del personal coach Nicoletta Gottardo è al di sotto delle aspettative, almeno, delle mie. Lo stile è, sì, quello dell’esperta di comunicazione, ma a mio giudizio risente troppo dell’abitudine a interpellare il pubblico per instaurare un contatto, a scapito della scorrevolezza del pensiero espresso, e di quella a far spesso riferimento a quanto detto poco prima, senza considerare la maggiore attenzione al messaggio prestata dal ricevente di un testo scritto, che rende questo artificio superfluo; anche i riferimenti alla propria esperienza abbondano, e interrogative retoriche, grassetti enfatici e punti esclamativi portano troppo spesso quello che si capisce essere uno studio oggettivo e accurato sul registro del blog amatoriale, facendo perdere, a mio parere, molto del valore di un’indagine tutt’altro che da disprezzare. Sono certa che, però, la scelta di mantenere questo registro sarà stata dettata da aspetti che a me sfuggono e non escludo che possano essere molti i lettori che, invece, apprezzeranno questo taglio.
Chiaro, scorrevole, asciutto e autorevole appare, invece, l’intervento della mezzosoprano Nadiya Petrenko, che descrive lo stile canoro di Springsteen con termini alla portata di ogni lettore, invitando a un ascolto critico senza sminuire il nostro eroe (di cui, ci par di intuire, l’artista non è una fan).
Volendo individuare una pecca nel libro, la si potrebbe riscontrare nella cura non esattamente maniacale delle bozze. Qua e là un punto fermo prende il posto di una virgola, qualche vocale sbagliata manda le concordanze a farsi benedire e – orrore! – Garry Tallent è trasformato da uno zelante correttore in “Gerry” Tallent. Non occorre puntualizzare che non sono queste piccole sviste a inficiare la qualità del lavoro, ma a vederle dispiace per l’autore, poiché, conoscendone la scrupolosità, il perfezionismo e la passione, facilmente lo si immagina dispiaciuto, se non proprio disperato, mentre scopre le piccole imperfezioni del suo capolavoro: un figlio è sempre una gioia e l’importante è che sia sano e ben formato, eppure, in tanta perfezione, una stupidaggine come le orecchie a sventola stona un po’.
La quarta di copertina recita “oltre duecentocinquanta fotografie inedite” e, in effetti, un’innamorata di Bruce non dovrebbe farsi mancare questo libro, perché i numerosi scatti – per la maggior parte realizzati dai fan ai concerti – lo ritraggono nelle espressioni più tipiche e più buffe, nelle pose più canoniche e in quelle più divertenti, offrendo un ritratto che rispecchia bene le molte anime di Bruce-dal-vivo, capace di passare dal brano intimo e impegnato al pezzo trascinante ed energico senza perdere credibilità e sincerità.
Faremmo un torto al libro, però, se individuassimo nelle immagini il suo punto di forza: All the way home trova la sua ragion d’essere nei contenuti, in quelle recensioni dei concerti che “par d’esserci” – sì, grazie –, ma fanno morire di invidia e nel tentativo, complessivamente riuscito, di scomporre e analizzare il fenomeno sociale di nome Bruce.
se sapete indicarmi una libreria che lo vende mi fate un piacere,premetto che abito a milano e non nel deserto ma ne mondadori ne feltrinelli e nemmeno da ricordi si trova. grazie
peccato solo che il libro non si trova in commercio!
ordinato il 19.6.2012 con regolare versamento di 21 euro tramite paypal, oggi Bol-mondadori ci comunica che l’ordine è ANNULLATO per IRREPERIBILITA’ del prodotto.
O benvenuti caro….