La senilità chiude il cerchio riallacciandosi all’infanzia. L’autonomia si scarica, come certe vecchie batterie che hanno sempre bisogno di stare attaccate al filo. I fili sono quasi sempre attaccati ad una presa familiare, talvolta a estranei a pagamento, badanti e colf, quelle che nel censimento compilano una scheda a parte. La signora ha novant’anni e vive in quella casa dal 1932, sono villette costruite dal Fascio per i mutilati di guerra. Suo padre è comunque morto per una scheggia nel cuore, lei si è sposata e qui ha cresciuto il figlio, che le sta accanto in piedi e risponde ai suoi rarissimi vuoti di memoria. La signora mi offre una sigaretta, e mi fa molto sorridere vederla fumare alla sua età: cicche leggerissime, bianche e sottili. Chiede sempre se deve scrivere il “nome da signorina” o quello da sposata. Il figlio la rimprovera di tagliar corto, per contro, lui se ne sta tutto il tempo a sbrigare lungaggini al telefono. Mi giro verso la madre che se ne sta placida in poltrona, splendidamente canuta e compattata, gli occhi neri come pece su una pelle che pare incipriata per natura, con eleganza mi propone il nipote come potenziale marito, accende col cerino e si adagia da salottiera.