È già passata la maturità di un giovane da quando Charles Bukowski se n’è andato, a 74 anni, facendosi un baffo di tutti i pronostici, anche medici, che lo davano all’inferno ad una ben più giovane età. Il suo stile di vita dissoluto, profondamente alcoolico e misantropico, lo ha reso famoso nel mondo con molte diciture ed epiteti non certo tutti lusinghieri: vecchio porco, ubriacone, puttaniere, barbone e così via. Allo stesso modo, la leggenda della sua vita è diventata uno dei motivi della sua fama in tutto il mondo.
Lui lo sapeva.
Hank sapeva che la fama ed il successo sarebbero arrivati. Sapeva che il mondo l’avrebbe conosciuto e apprezzato, anche se più tardi di quando avrebbe voluto (“I always thought sometime in my life this time might come, a little bit. Guys marching in on me with cameras and all that shit. Somehow I almost felt it and knew it”).
Poco male, vedendo che moltissimi autori (primo fra tutti l’idolo di Buk: John Fante autore del bellisssimo quanto sottovalutato Ask the dust) hanno raggiunto popolarità e successo solo dopo la morte.
Su di lui si è ormai detto tutto e il contrario di tutto, ma ciò di cui si è sempre omesso, è la falsità di un mito che lo stesso Hank aveva contribuito a creare. Bukowski amava descriversi come un pigrone, con nessun interesse se non quello di bere, mangiare, bere, dormire, bere, fumare, bere, scopare (ma senza troppo interesse nell’arte della seduzione, forse troppo faticosa), bere, scrivere, bere, leggere, bere, bere, bere…
Ebbene, se è innegabile che il vecchio sporcaccione fosse un bevitore di prima categoria è altrettanto vero che aveva un sogno, una ragione per vivere che non era riconducibile al semplice e puro alcoolismo, attività che ha comunque contribuito ad elevare ad arte.
Stiamo parlando naturalmente dello scrivere, e, più in generale, del credere veramente e fino in fondo in una ragione di vita e seguirla intrepidamente, non smettendo mai di mollare. Il nichilismo a cui è frequentemente ricondotto veniva in questi momenti a mancare. Nella vita di ogni giorno, era una persona pronta a tradire qualsiasi ideale, anzi era una persona priva di ideali o valori intesi in senso religioso o civico. Ma, signori, quando l’argomento diventava la penna la storia cambiava, e di molto.
Guardando sommariamente al riassunto della sua vita ciò può non apparire cosi chiaro.
Hank cresce a L.A., vive un’infanzia difficile (tema centrale del suo romanzo forse più bello e toccante Panino al prosciutto) e dopo un periodo di vagabondaggio per gli States (narrato in Factotum) rientra a L.A. inziando a lavorare, non senza discontinuità, in un ufficio postale (argomento di cui tratta Post office).
A vederla in questo modo, sembra la vita di un ordinario semi-emarginato americano che dopo un periodo di pazzia torna redento sui suoi passi e si re-inserisce nel “sistema”.
Ovviamente non è cosi: Hank volle lavorare alle poste per avere una forma di sostentamento economico fissa e sicura con cui portare avanti la sua ragione di vita: lo scrivere.
Una delle poesie più belle di Hank parla proprio del non mollare, dell’andare fino in fondo con quello che tu credi sia giusto per te e la tua vita. Si chiama Roll the dice:
Se hai intenzione di tentare, fallo fino in fondo.
Altrimenti, non cominciare mai.
Se hai intenzione di tentare, fallo fino in fondo.
Ciò potrebbe significare perdere fidanzate, mogli, parenti, impieghi e forse la tua mente.
Fallo fino in fondo.
Potrebbe significare non mangiare per 3 o 4 giorni.
Potrebbe significare gelare su una panchina del parco.
Potrebbe significare prigione,
Potrebbe significare derisione, scherno, isolamento.
L’isolamento è il regalo, le altre sono una prova della tua resistenza, di quanto tu realmente voglia farlo.
E lo farai a dispetto dell’emarginazione e delle peggiori diseguaglianze.
E ciò sarà migliore di qualsiasi altra cosa tu possa immaginare.
Se hai intenzione di tentare, fallo fino in fondo.
Non esiste sensazione altrettanto bella.
Sarai solo con gli Dei.
E le notti arderanno tra le fiamme.
Fallo, fallo, fallo. FALLO!
Fino in fondo, fino in fondo.
Cavalcherai la vita fino alla risata perfetta.
È l’unica battaglia giusta che esista.
Mi sembra quindi doveroso, dopo 18 anni dalla sua dipartita agli inferi, rendere onore a Hank, sfatando queste poco onorevoli voci. Certo Bukowski era senz’altro pigro ed insolente nei riguardi dell’ordinario processo di vita e carriera statunitense (e occidentale). Ma chi di noi non trova una vita monotona, inquadrata e prevedibile estremamente noiosa?
Potete realmente riassumere in questo modo il giudizio su un uomo che quotidianamente produceva montagne di materiale tra poesie, racconti e romanzi e che, con assoluta diligenza e convinzione, comprava lettere e francobolli spedendo puntualmente ogni mattina tutto il suo materiale? Ogni maledetto giorno per decenni, nonostante le mancate risposte degli editori. Tutto ciò, presto o tardi, avrebbe scoraggiato la maggior parte degli aspiranti scrittori californiani dell’epoca.
Ma lui no.
Lui aveva capito il senso della sua vita, forse l’unica sua ragione d’esistere. Stiamo parlando di una persona che passava tutte le notti scrivendo e che durante il giorno andava ad adempiere al suo noioso compito da impiegato in un ufficio postale. Un uomo che ha sempre creduto in ciò che faceva e che ha sempre saputo che ce l’avrebbe fatta.
Possiamo veramente definire un essere umano di questo tipo un uomo pigro?
Buk viene spesso definito come un talentuoso ubriacone (spesso neanche talentuoso), arrivato alla fama quasi per caso, scoperto senza avere parte attiva nel suo successo. Come abbiamo visto, la storia è diversa, Hank è stato il primo fautore della sua celebrità, con la sua diligenza, la sua fede e ovviamente la sua vita dissoluta senza la quale non avrebbe avuto un sacco di materiale su cui scrivere.
Sulla sua lapide è inciso il seguente epitaffio: “Don’t try”. Se avete capito il senso della vita e dell’opera di Bukowski, avrete già capito che non si tratta di un invito al dolce far niente…