Oreste De FornariOreste De Fornari è uno dei migliori personaggi della Rai di produzione culturale. Nato su quel terzo canale di Sandro Guglielmi, De Fornari, spesso accompagnato da Gloria De Antoni, anche lei perfetta nel suo ruolo di contemporanea, ha saputo creare un segmento della programmazione televisiva, ammiccando al passato, facendo cioè una televisione di contenuti, di sintesi quindi (basti ricordare Magazine 3). Ma De Fornari è attento studioso, ha analizzato l’opera di Walt Disney, di Sergio Leone e nel 1990 aveva dato per i tipi di Mondadori il suo studio (uno dei rarissimi) sulla produzione degli sceneggiati televisivi della Rai degli anni d’oro. Teleromanza purtroppo però non ebbe un grande successo (come spesso succede per i saggi) ma rimane una perla di scrittura e di analisi, oltre che un prezioso contenitore di notizie e di curiosità. Per nostra fortuna (in verità avevamo letto l’edizione Mondadori) l’editore di Alessandria, Falso Piano, ha dato alle stampe da poco Teleromanza. Mezzo secolo di sceneggiati e fiction nel quale de Fornari recupera il corpo dell’opera del 1990, aggiornandola con i riferimenti alla fiction. Non poteva sfuggire alla nostra attenzione una conversazione con De Fornari, interessante e sintetico, così come dovrebbe essere l’analisi, anche in una apparente e semplice intervista.

Marco Ranaldi (MR): Lei hai scritto “Teleromanza” in una prima versione edita per Mondadori di qualche anno fa. Da dove è nata l’esigenza di ripubblicare il suo testo aggiornato?

Oreste De Fornari (ODF): Dal fatto che il pubblico dei teleromanzi classici continua ad aumentare . Lo dimostra il fiorente mercato dei DVD .

MR: Lei ha aggiornato la sua analisi con gli ultimi prodotti televisivi; qual è la grande differenza fra “sceneggiato” e”fiction”? L’uso della televisione in bianco e nero di fondali e di teatri di posa potevano costituire la vera forza dell’illusione televisiva di allora?

ODF: Con il termine fiction si indica tutta la narrativa tv anche non da opera edita. L’uso del b&n e dei teatri di posa e tutto lo Studio System Rai era effettivamente un punto di forza dell’illusione televisiva, basata su criteri aristotelici. Al contrario le fiction degli ultimi 30 anni spesso promettono quello che non possono mantenere e rimangono a mezz’aria tra l’illusionismo teatral-televisivo di una volta e quello cinematografico spettacolare. Molto dipende anche dal carisma degli attori di allora.

MR: Lei parla molto dei registi degli sceneggiati ma le chiedo di soffermarsi su Daniele D’Anza, regista che ha saputo interpretare gli anni Settanta recuperando storie antiche e dirigendo anche varietà televisivi.

ODF: Di Daniele D’Anza mi colpisce naturalmente la versatilità. Tra i tantissimi titoli ricordo Vita col padre e con la madre e La coscienza di Zeno dalla riduzione di Kezich del romanzo di Svevo, con il grande Alberto Lionello. E Il segno del comando; che sfida fare un mistery ambientato nella Roma di oggi, con Ugo Pagliai nella parte di un professore inglese! Eppure ci si crede.

Riz Ortolani

MR: Nel suo libro lei nota l’importanza della musica negli sceneggiati, soprattutto di Riz Ortolani: pensa che a tutt’oggi sia stato il compositore che meglio si sia adattato alla musica applicata allo sceneggiato televisivo?

ODF: Naturalmente le musiche di Ortolani hanno un ruolo strategico nell’illusione teleromanzesca. Ma sono altresì fondamentali per spostare la nostra soglia emotiva in tanti film, anche recenti, come Una sconfinata giovinezza di Avati.

MR: Nel suo cuore e nei suoi ricordi quali sono stati gli sceneggiati da ricordare?

ODF: I grandi sceneggiati da ricordare sono, riducendo al massimo e scegliendo dai vari registi: L’isola del tesoro, Una tragedia americana, La cittadella, La figlia del capitano, Il mulino del Po, I promessi sposi, Mastro don Gesualdo, I Buddenbrook. Questo per limitarmi al periodo classico (che è anche il più interessante).

MR: Cosa ne pensa della “tv dei ragazzi” e dei tanti programmi che la fecero così importante?

ODF: Della tv dei ragazzi ricordo poco. Ricordo soprattutto l’annunciatrice che verso le sei diceva: “Cari ragazzi anche per oggi i vostri programmi sono terminati”. C’era dentro tutto lo spirito della Rai (e dell’Italia) di allora.

http://www.youtube.com/watch?v=cRtZYX2OskU

Invero De Fornari ha recuperato un percorso di memoria, di sincerità televisiva. La produzione analizzata dal Nostro è quella di una modalità di fare televisione con mezzi modesti e con grande professionalità. La gran parte dei registi e degli attori che operavano nei teatri di posa della Rai (da Torino a Napoli) provenivano dal teatro; l’impostazione infatti era quella dell’azione scenica, dove tutto era importante e le luci avevano una particolare funzione, molto più allora di adesso. Certamente De Fornari già nel 1990 aveva aperto un ampio spettro di studio, ma oggi, nel 2012, sono veramente pochi i testi che hanno fatto il punto di una storia che meriterebbe di essere riportata alla luce, soprattutto come sprone per migliorare il prodotto culturale, una sorta di cibo per il cervello e, naturalmente, per l’anima.