
Titolo originale: Charlie Chaplin Interviews
Traduzione: Andreina Lombardi Bom
ISBN: 88-7521-107-8
Anno di pubblicazione: gennaio 2007
Pagine: 242
Editore: minimum fax
Si esprimeva a gesti e senza l’uso della parola, ma si faceva capire benissimo, al punto che nel volgere di pochi minuti il suo pubblico alternava risate euforiche a pianti di commozione. Il suo sguardo era nascosto sotto baffetti neri che altri avrebbero usato in ben diverso atteggiamento e per opposti scopi. Era sensibile verso chi contribuiva alle sue complesse realizzazioni cinematografiche, contro i quali poteva anche scagliarsi con furia improvvisa e incontrollata. Si muoveva al ritmo di musiche composte espressamente per dare voce ed esaltare il fascino dei suoi personaggi. Era Charlie Chaplin: il più grande attore della storia del cinema muto.
Schivo, introverso e protagonista di una vita privata all’altezza delle burle più divertenti del suo personaggio feticcio “Charlot”, Chaplin è diventato un punto di riferimento per chiunque intenda il cinema come arte dell’intrattenimento. Personaggio in un’epoca dove l’immagine contava quasi nulla rispetto alla sostanza, critico di una società che attraversava l’inizio del sistema di produzione fordista, la fine degli ultimi grandi Imperi, il diffondersi degli -ismi e la grande crisi di Wall Street, Chaplin ha lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo di almeno tre generazioni di cinefili.
All’interno di questo spazio geografico in continua evoluzione, sul grande schermo − come il cinema si chiamava una volta − divenne famosissimo nelle vesti di un vagabondo incapace di concepire il male. Padre per sbaglio del monello Jackie Coogan, che diversi anni dopo sarebbe diventato lo Zio Fester nella serie televisiva La Famiglia Addams; ultimo barlume di un cinema in bianco e nero che si esprimeva benissimo anche senza i colori e gli effetti speciali. La fama di Chaplin s’ingigantì con quella mitica corsa verso Eldorado, oppure nelle scarpette di pane che ancor oggi piace vedere ballare su una tavola pressoché vuota ma ricca di fascino. Tanto lungimirante nel prevedere gli effetti perversi della catena di montaggio sfuggita al controllo dell’uomo, quanto visionario nella sequenza del mappamondo sopra la testa di Hynkel, Chaplin rimase fino alla fine al fianco dell’amico Buster Keaton; incapace di sopravvivere alla fine del cinema muto.
Tutto questo è stato Chaplin, ma anche un uomo abile ad attraversare con estrema facilità l’Atlantico, dall’Europa verso gli Stati Uniti, trovare il successo e la ricchezza economica − allora impensabile per un attore di cinema − e infine lasciare quel mondo per rinchiudersi in un piccolo eremo nel profondo della Svizzera. Confederazione neutrale a quelle dispute tra Nazioni che Chaplin seppe descrivere senza mai mancare di commentarle, incurante del possibile danno alla sua immagine derivato da un’esposizione mediatica inusuale per chi si occupava di cinema. Forse il Cinema è stato veramente Arte con Chaplin, Keaton e pochi altri, come sembra emergere dalla carrellata di rare e preziose interviste rilasciate nel corso della sua lunghissima carriera, pubblicate dalla Minimum Fax. Interviste rarissime − prive di gossip o banale aneddotica − alle più importanti firme giornalistiche del suo tempo. Chaplin non mancava mai di precisare come egli preferisse “esprimersi” attraverso i suoi film e non per mezzo di spiegazioni inconcludenti sui come e perché di una certa sequenza.
Infatti, quello che emerge sfogliando le brevi ma intense interviste è un accanimento della stampa nei confronti di un ricco e indiscusso genio che faticava a conformarsi al pesante perbenismo americano. A questa pressione mediatica sulla sua persona Chaplin rispondeva talvolta in modo irriverente, talvolta in modo ironico. Sotto la lente dei principali cronisti dell’epoca finiva ripetutamente il suo cospicuo conto in banca o la sua vita privata. Inoltre a Chaplin si rimprovera l’uso dell’ironia nei confronti sia del sistema americano di produzione capitalista sia nei confronti della guerra. Nel primo caso oltraggiava il Sogno Americano, nel secondo caso, invece, riduceva un fenomeno tragico come la guerra a spettacolo cinematografico di natura comica. Quello stesso accanimento che aveva immeritatamente portato sul lastrico diversi suoi colleghi − spiega lo stesso Chaplin − lo indusse a lasciare gli Stati Uniti e tornare in Europa per produrre i suoi ultimi capolavori e spegnersi in solitudine la notte di Natale del 1977.
Documento prezioso sulla vita del genio del muto e al contempo interessante fonte d’informazione sulla trasformazione del giornalismo cinematografico Opinioni di un vagabondo: mezzo secolo di interviste offe uno sguardo d’insieme sia sulla persona − per nulla triste e per nulla infelice – sia sul personaggio che allora come oggi continua a far piangere e sorridere nel volgere di pochi minuti.