Chi si aggirasse fra i corridoi e le sale durante il festival “I 1000 (o)cchi” a Trieste,  le Giornate del Cinema Muto a Pordenone, il Far East Film Festival a Udine o la Mostra del Cinema di Venezia non potrà fare a meno di imbattersi in Olaf Möller. Instancabile divoratore di pellicole, critico cinematografico fra i più prolifici e scrittore, le sue colonne su Cinema Scope e Film Comment ne hanno alimentato la fama in tutto il mondo. Poliedrico e caustico, poliglotta e di eloquio pirotecnico, indipendente nel senso più libero della parola, si è guadagnato carta bianca su ognuna delle pubblicazioni cui presta la sua opera così come in ognuna delle rassegne alle quali partecipa in qualità di programmatore o recensore.

Olaf Möller

La sua collaborazione con il Festival Internazionale del Cinema e delle Arti diretto da Sergio Grmek Germani è di lunga data. Möller ha curato la sezione “Germania Anno Zero”, quest’anno un excursus nel cinema noir tedesco degli anni ’50 e ’60, le cui proiezioni ha introdotto da par suo, con straordinaria lucidità storica e istrionica verve. Abbiamo avuto, purtroppo, pochissimo tempo per parlare con lui durante l’ultimo giorno di programmazione. Esausto e prossimo alla partenza, ci ha concesso comunque una breve intervista in cui siamo riusciti appena a sfiorare le tematiche che avremmo poi approfondito con il direttore del festival, a un mese di distanza dalla sua conclusione.

Beatrice Biggio (BB): La sua collaborazione qui ai 1000 occhi è di lunghissima data. A dieci anni dalla sua prima edizione, quale crede sia il senso di questa rassegna fatta di percorsi e di visioni “convergenti e parallele”, quali i possibili scenari e le prospettive future? Come pensa si possa proseguire in questo percorso e tenere vivo il festival nella sua specificità?

Olaf Möller (OM): Sopra ogni cosa, restando fedeli alla sua particolare visione, cercando di sviluppare una programmazione che, in nuce, abbia senso e significato. Intendo dire che la maggior parte dei festival presentano semplicemente un po’ di questo e un po’ di quello, al punto tale che non si riesce mai a capire perché diavolo chi li organizza stia programmando proprio quelle pellicole e proprio in quel modo. Penso invece che chiunque si fermi a pensare alla nostra programmazione possa capire quanto impegno e quante idee ci siano dietro al lavoro di così tante persone che lavorano per portare allo spettatore una grande varietà di proposte di genere non convenzionale, film che vanno dalle produzioni del cinema industriale agli indiscussi capolavori della storia del cinema. Credo non ci siano molte altre rassegne che riescano a farlo. Il segreto è avere un vasto spettro di proposte in modo che possano interagire le une con le altre, ma al contempo presentarle in modo tale che possano arricchirsi a vicenda, cioè che l’esperienza della visione di un film renda la visione di un’altra pellicola più profonda e intensa. Lo scopo è proprio quello di non presentare soltanto una lista di titoli slegati fra loro, ma di creare interazioni tali per cui emergano le affinità fra i film scelti. La grande visione della storia del cinema è unitaria, non è soltanto un guazzabuglio di elementi slegati fra loro. In alcuni casi e di primo acchito, i legami fra alcuni film ed altri potrebbero sembrare azzardati, ma se ci si tuffa nel programma e si va a guardare più da vicino ciò che facciamo, ci si rende conto che non è così ed è certo che si vada a scoprire qualcosa di nuovo e diverso sul cinema e forse anche su sé stessi.

Olaf Möller

BB: Come funziona la collaborazione fra lei e Sergio Grmek Germani, prima di tutto nella fase di ideazione e ricerca e poi nella realizzazione e “messa in scena” del festival?

OM: Semplice, lui è fuori di testa e io anche! Lui è fuori come uno zerbino, ed io come un balcone, perciò insieme facciamo un manicomio… Scherzo, naturalmente. È molto semplice: continuiamo a rilanciarci idee e film finché qualcosa improvvisamente diventa visibile e prende forma. Può sembrare quasi un’esperienza mistica, ma se si pensa a quanti interessi abbiamo in comune ci si rende conto che non è mistica affatto. Se infatti si tende a pensare in modi molto simili, a un certo punto le linee di pensiero s’intersecano fino a creare una scintilla, tutto si allinea in modo quasi automatico. Per esempio, ci sono film nella programmazione di quest’anno che io non conoscevo e altrettanti che non erano noti a Sergio, ma che, incredibilmente, s’incastrano fra loro perfettamente. Questo è il risultato di una visione condivisa sul cinema.

BB: Dato che il tempo a disposizione è davvero poco, la mia ultima domanda riguarda la critica cinematografica, un genere letterario in sé, che credo, spesso, influenzi i cineasti in modo speculare a quanto questi siano ispiratori rispetto alla critica. In quale direzione, secondo lei, sta andando la critica cinematografica e quali sono le influenze che questa genera nei cineasti?

Film CommentOM: Ad essere perfettamente onesti, non me ne importa granché. Credo di avere già abbastanza da fare vedendo i film e cercando di capire che cosa vogliono dire, senza dovermi anche preoccupare di ciò che stanno facendo i miei colleghi. Credo che tutto questo discorso sul loro ruolo non sia altro che un parlarsi addosso. I critici dovrebbero spendere più tempo a scrivere cose sensate e meno a discutere di quale sia il loro posto nel mondo. Se scrivessero cose sensate e interessanti, il loro posto nel mondo diventerebbe lampante per tutti, nessuno potrebbe metterlo in discussione. Se invece, come spesso accade, non scrivono nulla di valido e interessante, allora io penso che non ci sia posto per loro al mondo. Questo è il vero problema. D’altro canto, però, perché un critico scriva qualcosa di interessante, è necessario che esista del cinema interessante e significativo.

BB: E dove sta andando il suo lavoro, la sua ricerca personale, in questo momento?

OM: In ogni parte del mondo e in ogni direzione.