TropicsTardo pomeriggio in una giornata di mezza estate, quando le ombre si allungano ma il tepore degli ultimi raggi del sole è ancora piacevole. Mi trovo a bordo piscina con un cocktail dal nome esotico in mano, quando all’improvviso da un angolo dell’impianto cominciano ad arrivare le prime note  musicali. Il dj è un giovane Inglese: si chiama Chris Ward, e ha esordito con un progetto tutto nuovo dal suggestivo nome di Tropics.
Nemmeno il tempo per chiedermi che ci fa un dj inglese in una piscina italiana che partono le affascinati armonie ambient di Navajo, il primo pezzo del cd di esordio Parodia Flare. Atmosfere magiche ed ariose che servono ad introdurre Mouves, che parte ambient ma poi si irrobustisce di una ritmica lieve e sottile (minimale direbbe qualcuno), resa eterea da una linea vocale non certo brillante né potente, ma efficace, e da un intermezzo ambientale che ripropone le atmosfere di inizio pezzo.

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Mouves fa venire in mente le sperimentazioni ritmiche di Vidna Obmana ma anche lo shoegaze estremo dei Loveliescrushing. Mentre ascolto, affascinanti signore in costume mi passano davanti, e allora Parodia Flare, la title track, sembra accompagnare sorniona quei loro movimenti sinuosi. È la chitarra stavolta a disegnare atmosfere esotiche e sensuali, sottolineate da una ritmica appena sussurrata che invita al rilassamento più che al ballo. Chris Ward sembra essere un dj sui generis, dedito più a far muovere la mente dell’ascoltatore piuttosto che il corpo. Lo si potrebbe definire  un ambient dj, bravissimo – però – a inserire, fra le gli strati sintetici, piccole linee melodiche che fanno la differenza. È il caso di Wear Out con le sue atmosfere lounge anni Sessanta, rarefatta all’inverosimile e con una linea vocale eterea che ricorda il cantato impercettibile dei Cranes, ma senza l’inquietante timbro infantile di Alison Shaw. Man mano che il programma prosegue le ombre cominciano a calare e allora Celebrate è l’introduzione ideale per l’imminente crepuscolo, un maelstrom di suoni, drones, sintetizzatori tutti convogliati verso un’ atmosfera criptica ma non misteriosa, minimale ma tranquilla, con le percussioni finali che danno un tocco di gentile ritualità. È il punto di svolta dell’album, che arriva per certi versi a celebrare le ombre che ormai si confondono.

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Parte la notte, ma non è una notte fatta di orge rumoriste da discoteca, né di quattro canti innaffiati di birra davanti ad un falò sulla spiaggia. È piuttosto una notte dove si medita su noi stessi, accompagnati dalle atmosfere eteree e chillout di Figures e Thelassar. Quest’ultima in particolare, avvolge l’ascoltatore fra le spire di dolci sintetizzatori che ammaliano: una doccia catartica per far abituare corpo e mente all’oscurità. Nella penombra il disco riparte con due gioiellini che riportano in auge le linee melodiche dei primi pezzi. Con Playgrounds e After Visiting, Ward diventa la guida di una notte che non è paurosa e inquietante, ma calda e rilassata. È la notte il palcoscenico ideale per le composizioni di Tropics, perché si attenua il senso della vista e l’inconscio comincia a percepire quelle sensazioni che di giorno sono spesso sfalsate e alterate dal filtro della coscienza. Ecco che, quindi, Sapphire e On The Move chiudono il cerchio e interrompono, con andamento leggero, il sogno iniziato un’ora prima con Navajo. Restano le buone vibrazione trasmesse da tutti i pezzi che si trovano nel cd e la sensazione di trovarsi di fronte ad talento assoluto. Definire Parodia Flare la colonna sonora di una festa a bordo piscina è riduttivo, ma serve per far comprendere che Ward non si muove in ambienti tetri pesanti e oppressivi, ma realizza la propria musica attraverso strutture luminose che, alla resa dei conti, penetrano in maniera profonda la sensibilità dell’ascoltatore. Tuttavia Parodia Flare è un album dalle mille sfaccettature.

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L’anima ambient che fa capolino nella varie Navajo e Thelassar è ben supportata dalle ritmiche ora rituali e ipnotiche, ora vagamente dance, ma sempre sussurrate e mai in primo piano. La chitarra, unica divagazione strumentale rispetto ai sintetizzatori e ai sampler, infonde varietà e originalità, disegnando melodie sinuose e andamenti quasi funky in alcuni pezzi. E poi la voce, usata come mero strumento di accompagnamento, con liriche di cui ignoro il significato ma che sono probabilmente puro fonema inintelligibile, buono per creare atmosfere sognanti. Il debutto full lenght di Chris Ward, preceduto dal singolo Soft Vision, riesce così a mettere in risalto le doti di questo giovane musicista, proiettato nel futuro ma con radici ben salde nel passato, come dimostra l’uso di tastiere Rhodes e altri strumenti vintage: un tocco retrò che non guasta e anzi accresce il valore di un opera già di per se molto buona, che apre scenari importanti per le prossime releases di questo giovane talento.