All’epoca della campagna per il referendum, lo slogan Sì, sì, sì oh… sì aveva rivelato il proprio implicito sessuale facendo il giro della rete accompagnato dall’invito a “non praticare l’astensione” e andare a votare. Forse non era quel che si dice una raffinatezza, ma ha fatto passare il messaggio “non votare è da sfigati” con una certa chiarezza ed efficacia.
Sabina Guzzanti riprende lo slogan per il suo spettacolo, ma lo monda della connotazione maliziosa – che evidentemente stava solo nella testa della lettrice della locandina – e lo trasforma in un’esultanza ingenua e liberatoria, ripetendolo qua e là nel corso della serata con cantilena goduta, a momenti infantile.
L’attrice inserisce con naturalezza le proprie caratterizzazioni di personaggi dell’attualità (piuttosto che del passato o di fantasia) nel filo conduttore di un recital che è una sorta di dimostrazione per confronto di come l’Italia di oggi versi in una condizione analoga a quella del dopoguerra. In questo appassionato monologo, le “imitazioni” per cui la Guzzanti è celebre – e giustamente celebrata – non sono semplici intermezzi, carosello di più o meno azzeccati sketch con cui intrattenere il pubblico e rientrare a titolo più pieno nella categoria dello “spettacolo comico”, ma vera e propria continuazione del discorso attraverso altre voci, un espediente narrativo simile, piuttosto, alla pratica di accompagnare un’esposizione con uno spezzone di documentario o una ricostruzione filmata.
Non usa trucco o accessori in scena, la Guzzanti, eppure l’impressione di realtà e di somiglianza è sbalorditiva, grazie non solo alla modulazione della voce e all’assunzione di determinate pose o espressioni, ma anche alla puntuale riproposizione di movimenti, tic, modi di dire e di fare tipici del personaggio rappresentato. Non siamo davanti, qui, all’imitazione burlesca che riprende ed esaspera i principali tratti caratteristici di un individuo per metterlo alla berlina, quanto ad una vera e propria interpretazione, che restituisce al pubblico – più o meno sottilmente – il personaggio nella sua completezza.
Forse perché proposta per prima, quando ancora il pubblico non è avvezzo al livello dello spettacolo, la caratterizzazione che sembra più riuscita è quella di Maria de Filippi, alle prese con la pruriginosa storia di sesso e sangue di un signore greco, tale Edipo. La grande tragedia è banalizzata ad uso e consumo del telespettatore e, sebbene apertamente diretta alla conduttrice Mediaset, la critica della Guzzanti travalica ben presto l’archetipo ispiratore e abbraccia tutto il genere di televisione, oggi diffusissimo, della “miseria umana”.
Circa la televisione, l’autrice di Draquila ha una certa esperienza, e nel monologo ricorda quando, nel 1988, era stata invitata ad Arcore insieme ad altri comici per discutere del genere di comicità proposta in un programma di Italia 1. In tale occasione, riferisce la Guzzanti, Silvio Berlusconi aveva avuto modi cordiali, ma sospetti e un po’ “burini” (dice, ad esempio, che ha sottolineato quanto fosse democratico nel versarsi il tè da solo), e aveva illustrato l’agghiacciante impostazione delle sue reti: esse guadagnavano con la messa in onda di pubblicità di prodotti per casalinghe e, pertanto, volti a stimolare la propensione all’acquisto nelle casalinghe – evidentemente intese nell’accezione più limitata e svilente – dovevano essere i programmi da esse trasmessi. Pur senza allontanarsi dall’intrattenimento, il racconto dell’episodio scivola con nonchalance e conduce nella riflessione civile e politica sui vizi privati del premier e i suoi rapporti con Gheddafi (grazie alla leggendaria interpretazione di Moana Pozzi), su la qualità dei programmi di informazione e approfondimento della televisione pubblica (con Bruno Vespa che nel salotto di Porta a Porta analizza la questione della guerra in Iraq con il contributo di Clarissa Burt, la quale paragona l’Islam al buco nell’ozono), sull’inerzia del PD (D’Alema che, senza nascondere il disappunto per la vittoria alle elezioni amministrative, ribadisce che, a dispetto delle apparenza, la strada da perseguire per battere Berlusconi è il modello Macerata, dove il PD ha vinto alleandosi con Casini), sui rapporti fra Berlusconi e la mafia (con un surreale leader del PdL schizofrenico che durante un comizio non riesce a sopprimere l’emergere del suo alter-ego siciliano).
La componente divulgativa dello spettacolo è comunque forte e i momenti che il pubblico sembra apprezzare maggiormente sono quelli in cui Sabina Guzzanti è se stessa ed esprime in prima persona le proprie opinioni, senza delegarle ai suoi personaggi, come quando riferisce dell’occupazione del Teatro Valle, denunciando l’anomalia di una conferenza stampa indetta da una società privata alla quale ha partecipato il portavoce del governo, accompagnato da Carabinieri pagati dai contribuenti, o spiega in che ottica si possono giustificare le reazioni non più pacifiche dei manifestanti di questa estate, ricorrendo a Machiavelli e alla sua visione positiva del tumulto, quale sana e normale reazione.È in questi momenti che il pubblico, altrimenti trasportato (letteralmente di-vertito) dall’imitazione, tende maggiormente a interagire con l’attrice, anticipandone le considerazioni o rispondendo ad alta voce alle sue domande retoriche, colmandone le pause. Non è l’atteggiamento – fastidiosissimo – dello spettatore esperto (magari perché ha già visto lo spettacolo) che si vanta in questo modo della propria competenza con i pochi, sventurati, vicini; è, invece, una reazione sporadica, addirittura forse in buona parte trattenuta, spontanea e liberatoria, di chi sembra avere aspettato tanto prima di sentire il proprio pensiero condiviso e amplificato su un palco.
Sì, sì, sì… oh sì! riesce comunque a restare uno spettacolo comico in senso stretto, accessibile anche a un pubblico non necessariamente affezionato alla Guzzanti o al corrente dei suoi trascorsi, apprezzabile anche solo semplicemente per il ritmo sostenuto con cui battute, arguzie e spiritosaggini varie vengono offerte allo spettatore.