Locandina del film CarnageDopo aver curato nel 1995 la trasposizione cinematografica di La morte e la fanciulla di Ariel Dorfman, Roman Polanski porta nuovamente sul grande schermo una pièce teatrale già rappresentata sui palcoscenici di tutto il mondo: Il dio della carneficina di Yasmina Reza vincitrice l’anno scorso di un Tony Award.

Se nella pièce di Dorfman l’argomento affrontato era la tortura in Cile ai tempi di Pinochet e Polanski si divertiva a “imprigionare” in una casa isolata due attori del calibro di Ben Kingsley e Sigourney Weaver, ne Il dio della carneficina la tematica trattata è più leggera ma il regista costringe i quattro personaggi a confrontarsi nello spazio angusto di un salotto con inevitabile effetto claustrofobico da parte dello spettatore.

La trama parte da un avvenimento banale che ognuno di noi, nella sua quotidianità, può trovarsi a sperimentare: la lite tra due ragazzini con conseguente rottura di un paio di denti. I rispettivi genitori, Penelope e Michael Longstreet, Alan e Nancy Cowen, due coppie di borghesi decisi più che mai a preservare quell’integrità morale di facciata che li caratterizza, si incontrano nel salotto di casa Longstreet per risolvere pacificamente la questione. Penelope è una scrittrice di un intellettualismo esasperante, il marito Michael è un grossista sottomesso alla moglie, Alan è un avvocato di successo e non si stacca mai dal cellulare anche se non ne capisce il funzionamento, Nancy è una broker che vive nel terrore di non accudire abbastanza i propri figli. Quella che però dovrebbe essere una conversazione informale e pacata si trasforma ben presto in uno scontro verbale con insulti, attacchi di vomito – Nancy ci mette due secondi per distruggere la collezione di cataloghi d’arte di Penelope – cellulari “affogati” e accese discussioni che svelano le ipocrisie, le menzogne e la mediocrità di una società dove contano solo le apparenze.

Il conflitto non esplode solo tra le due coppie in quanto entità che si contrappongono, ma si estende a livello individuale portando i coniugi stessi a confessarsi le proprie frustrazioni e a sputarsi addosso tutto il veleno accumulato in anni e anni di vita matrimoniale.

Foto di scena di Carnage

Polanski, che fino a poco prima dell’inizio delle riprese aveva mantenuto il riserbo sugli attori prescelti per la parte, affida i ruoli principali alla due volte premio Oscar Jodie Foster (Sotto accusa, 1989 e Il silenzio degli innocenti, 1992), al premio Oscar Kate Winslet (The reader, 2009), al premio Oscar Christoph Waltz (Bastardi senza gloria, 2010), e al “quasi” Oscar John C. Reilly (candidato nel 2003 per Chicago), e intrappola i loro personaggi in una sorta di gabbia dalla quale, come cavie impazzite, faticano a uscire vivi.

Le interpretazioni sono tutte di alto livello e l’ambientazione newyorkese funziona, anche se potrebbe essere vista come una provocazione da parte di Polanski considerato che non gli è ancora possibile soggiornare nella città americana a causa dell’accusa di violenza carnale che pesa sulla sua testa e che di fatto gli ha anche impedito di essere presente a Venezia. Il film mantiene l’umorismo e l’angoscia della pièce originale, ma permette allo spettatore di immedesimarsi maggiormente nei personaggi, e in effetti guardandolo sembra proprio di condividere l’appartamento con le due coppie intente a “scannarsi”.

Foto di scena di Carnage con il regista

Come afferma Ben Brantley del New York Times: “Il dio della carneficina è uno studio sulla tensione che si crea tra la superficie civilizzata e l’istinto violento”. La pellicola è stata girata in tempo reale, senza ellissi, per fare in modo che lo spettatore potesse gustarsi meglio l’evolversi della discussione dalla quiete apparente all’esplosione degli stati d’animo.

All’ultima Mostra del Cinema di Venezia la pellicola è rimasta a bocca asciutta nonostante le lodi di critica e pubblico, ma troverà sicuramente di che consolarsi come film di apertura del 49 Festival del Cinema di New York (dal 30 settembre al 16 ottobre). Non sorprenderebbe se arrivasse anche qualche candidatura all’Oscar.

Il film, dal mio punto di vista, è molto bello e coinvolgente proprio perché mette in scena il lato più oscuro dell’essere umano e perché, in fondo, Penelope, Michael, Alan e Nancy, con le loro debolezze e i loro scatti d’ira, sono il riflesso di noi stessi. Se di fronte ad alcune battute è inevitabile scoppiare a ridere, poi, pensandoci bene, ci si rende conto che si tratta di una risata amara perché le persone messe al bando sono proprio quelle sedute in sala che stanno guardando il film. La pellicola non supera gli ottanta minuti, ma l’affiatamento tra gli attori è tale che riescono a creare un capolavoro anche nel breve tempo a disposizione.