Quando esci dall’acqua, ti guardi intorno come se fosse esplosa una bomba H. I bagnanti intorno languiscono sulla battigia, ricoperti di conchiglie. Il tuo zaino sta sprofondando a vista d’occhio in una duna. Questa non può essere Finisterre, pensi. Non è così che te l’aspettavi. Immaginavi squadre di camminatori festanti, dispersi tra le onde come poseidoni invincibili, sirene che schizzano fuori dalle onde, archi di spuma a incorniciare il tuo ingresso nel paese, pesci miracolosi che ti precipitano in braccio. Invece tutto ti ricorda la scena topica de Il settimo sigillo, e aspetti solo che da un momento all’altro compaia una scacchiera. Finisce così un cammino?

Un buon risveglio

Hai camminato un mese. Sei partito da Irun, sulla frontiera tra Francia e Spagna, da solo, dopo essere sceso da un autobus all’alba. Credevi le montagne ti avrebbero sbarrato la strada, invece un giorno hai buttato le mappe e non hai più voluto sapere i chilometri che ti aspettavano. Hai deciso di svegliarti con il sole e di camminare fino a non poterne più. Hai trovato compagni di viaggio, alcuni ne hai persi, alcuni sono rimasti, hai bevuto dalle loro borracce e loro dalla tua. Hai dormito ovunque, arrivando quasi sempre tardi, quando ormai la spartizione dei letti era stata fatta. Hai mangiato quello che capitava, godendo di pasti che, nella tua vita normale, non consumeresti a cuor leggero. Quanta pioggia hai preso? Non ti interessa. Hai camminato con ogni tempo, senza voler conoscere le previsioni per il giorno successivo. Ti sei addormentato ogni notte non pensando a nulla, questo ti è bastato.

Più di una volta hai desiderato essere abbracciato. Quando ti è stato concesso, hai stretto tra le tue braccia chiunque ti fosse capitato davanti. “C’è troppo poco amore nel cammino” hai ripetuto non sai quante volte. I tuoi compagni di ventura ti hanno chiesto ogni volta cosa significasse. Non hai mai spiegato, perché pensavi non ci fosse nulla da spiegare. Ti sei meravigliato di vedere tanta gente andare a dormire subito dopo la cena, per niente curiosa delle vite degli altri. Hai pensato che una pacca sulla spalla può spingerti a fare 50 km sotto il sole. Spesso non l’hai ricevuta, ma hai camminato lo stesso, e non ti sei mai incupito, hai ringraziato di essere sul sentiero con il tuo zaino, lanciato in una direzione, battendo le orme scavate da milioni di persone prima di te. Hai pensato di essere in un fiume, spinto dalla corrente, e hai lasciato che la corrente ti conducesse a destinazione. Sai di essere stato solo uno dei tanti.

Finisterre 2011

A Finisterre sei arrivato di pomeriggio tardi, con la burrasca. Non ti sei sottratto al rito del bagno nella spiaggia di Langosteira. Quando sei uscito dall’acqua, hai tremato. Ti sei rimesso i vestiti da viandante e ti sei incamminato verso il faro calzando i sandali. Hai comprato un paio di birre per strada e hai proseguito. Il faro brulicava di uomini e donne in festa. Quando hai visto la targa del km zero, hai sorriso, solo un attimo, poi hai sceso la scarpata e hai trovato lo scoglio in grado di accoglierti. Hai stappato le birre, hai bevuto, hai fatto un fuoco con un mucchio di ramoscelli, hai bruciato un paio di calze, hai fissato il sole cadere in mare. Sono arrivato fin qui con le mie gambe, hai pensato. E ora? Poi hai chiuso gli occhi.

*

Quando ti svegli, capisci che il tuo cammino non è finito. Hai bisogno di nuove domande, finire a Finisterre sarebbe come credere nel valore del punto, invece tu credi nei doppi punti, nelle parentesi, negli incisi che sottendono qualcosa di inespresso. Fai lo zaino e te ne vai prima che gli altri si alzino. Ciascuno fa il suo cammino, hai sempre detto ai tuoi compagni di giornata, e quando vedranno il tuo letto vuoto sicuramente capiranno. Il cammino prima o poi deve terminare, ne hai parlato a lungo con J., il pellegrino di Madrid che ha condiviso con te più di qualche valico nella nebbia. Sai che per te non è ancora giunto il momento, non sai perché, ma presto forse lo scoprirai.

Quando a Santiago chiedi all’impiegata dell’ufficio dei pellegrini una credenziale, quella ti chiede annoiata a cosa ti serva. Quiero hacer el camino de vuelta, le dici nel tuo improbabile castigliano, e quella ti risponde che non esiste nessun cammino di ritorno. De vuelta en avión, o autobús, o lo que sea, ti dice, e aggiunge che esiste uno e un solo cammino, quello che va a Santiago. Le rispondi che i pellegrini sono sempre partiti da casa e a casa sono tornati, se hanno avuto la grazia di tornare vivi a casa. No tiene sentido volver andando hoy en día, ti risponde, e tu le dici che, seguendo il suo ragionamento, non ha nemmeno senso andarci a piedi, a Santiago. Non ti vuoi arrabbiare, alzi i tacchi e batti in ritirata, raccatti lo zaino dalla sala d’attesa, scendi le scale e abbandoni a grandi falcate il centro storico, superi il ponte, sali al Monte do Gozo, passi l’aeroporto e già cominci a respirare. E ora? Pensi, ma le tue gambe ti fanno cenno che non è il tempo delle risposte. Cammini finché fa buio, poi ti fermi al primo rifugio che incontri, ti danno una credenziale nuova, un angolo di pavimento in cui rannicchiarti, una doccia, buonanotte.

Frecce di andata e ritorno

Sei sul cammino del ritorno. Te ne rendi conto appena fuori dalla porta, quando vedi venirti incontro una masnada di camminatori stremati. Per loro è l’ultima tappa, per te la prima. Loro stasera faranno festa, tu no, ma d’altronde se sei qui non è per fare festa. Incroci centinaia di persone, hai il sole in faccia e non riesci a guardarle negli occhi. Dovrai aspettare il tardo pomeriggio per studiare i loro sguardi, quando il sole sarà dietro le tue spalle. Saluti tutti quelli che ti passano accanto, ogni tanto qualcuno si ferma per dirti che stai sbagliando direzione, molti altri non ti salutano nemmeno, tu sorridi e tiri dritto. Qualcuno si ferma e ti chiede dove vai. Tu rispondi che vai a casa. Qualcuno strabuzza gli occhi, qualcuno ti dà la mano, qualcuno ti augura buon cammino. Il primo complimento ti fa sentire coraggioso. Non appena lo pensi ti fermi. Smettila di compiacerti, cretino, e datti una mossa, dici a te stesso. Riprendi la strada.

Il cammino del ritorno è duro, duro, duro, scrivi su uno dei tuoi fogli volanti, mentre sorseggi un tinto de verano in un alimentari dall’aria franchista. È duro perché non conosci nessuno, se non nelle soste ai bar o alle fontane, o la sera, nei rifugi. Rapidi scambi di battute, niente più. Sei in mezzo a molta gente, ma sei inequivocabilmente solo. All’ennesima domanda ti stanchi anche di dire perché, per come, da dove e verso dove. Che importanza ha sapere da dove veniamo, dove andiamo, ti chiedi. Sei qui, di fronte a me, con i piedi nella polvere, sporco da far schifo, con quel tuo sorriso ebete e felice sulla bocca, per cui bevi la tua fottuta coppa di vino, amico, se sai stare in silenzio cinque minuti. Non lo vedi che cielo terso, stasera? Anche per oggi non ci cadrà in testa nessun dio, se siamo fortunati.

Pellegrino nella nebbiaBisogna darsi piccoli traguardi, giorno per giorno. Ora che la meta grande non c’è più, tutto è tornato ad essere come nell’altra vita, quella che passi di fronte al monitor del tuo pc infestato di virus. Che senso ha camminare, potresti prendere un autobus e tornartene a casa. O andare al sud, a farti ustionare, tu e la tua fedele caipirinha. Eppure sai che non devi mollare, almeno oggi, domani si vedrà. Non ti fanno più male le gambe, non hai vesciche, il tuo corpo procede da solo, di che ti lamenti? Cammina, e non voltarti indietro. Tra otto chilometri c’è un bar sicuramente, è un paese troppo grande per non averne. Il bar è la tua prossima meta.

Man mano che i giorni passano si fa largo nella tua testa l’immagine di casa, della tua famiglia, dei tuoi amici. Nel cammino di andata non ti era successo, perché ora sì? Perché la faccia di tua madre compare ad ogni curva? Accasciato sotto l’ombra di ogni ulivo scorgi tuo padre fumare una sigaretta, eppure tuo padre non fuma più da dieci anni, e tuo padre no, non può essere lì. È il cammino del ritorno, bellezza, tutto piano piano ti torna su, comincia a farci il callo, ti dice la voce che fuoriesce dal tuo bastone, e oramai sei sicuro di stare male, di avere superato il punto di non ritorno. Da quanto tempo non parli con qualcuno? Tre giorni? Cammina ragazzo, cosa vuoi che sia, non lamentarti ché stare in fabbrica sarebbe peggio. Canta, piuttosto, così da non sentire i pensieri. I pensieri ti vorrebbero fermare, tu lasciali uscire, lasciali perdersi nei campi, ci penserà il sole a seccarli.

Come reggere lo sguardo di un esercito di occhi? Ogni occhiata ti seziona, ti fa a fette, alla fine di ogni tappa ti senti menomato. Non ce la farò, pensi, non sono abbastanza forte. Ti assale la voglia di fare dietrofront e lasciarti trasportare dalla corrente, di mescolarti agli altri, dimenticare il tuo nome. Poi però ti tornano in mente i racconti degli alpinisti che hanno fatto gli Ottomila. La vetta ti appartiene solo quando sei tornato in basso, fino ad allora sei tu che appartieni a lei. E tu non vuoi appartenere a niente e nessuno, non puoi restare imprigionato nel cammino. Capisci che stai lottando per sconfiggere le tue ossessioni. Se molli adesso tornerai a casa come sei partito. Allora basta un secondo, e già hai deciso. Afferri lo zaino, dici addio al rifugio e riprendi il cammino nell’unica direzione che ti è concessa. Ostinato e contrario, con le pupille dilatate per catturare più luce possibile, controcorrente, come un salmone. Dovrai camminare molto prima di arrivare al luogo in cui deporrai le tue uova, e probabilmente non arriverai, cadrai prima, perderai. Bomba o non bomba, ti rialzerai.