Un colore: ombroso, come l’opzione della macchina fotografica quando è nuvolo. Un odore: i vestiti bagnati di pioggia, altrimenti detto “odor da cagnone”, per intenderci quello delle borse di allenamento lasciate per settimane nel bagagliaio della macchina. Un profumo: la citronella, che sa di bella stagione, sebbene il Friuli sia già Europa nordica, dove il bello dell’estate è la primavera. Un suono: la fisarmonica, no, i “Notturni” del pianoforte in strada, no, l’aria fenduta dalle corde, o lo spazio spaccato trasversalmente, o gli “ohhhhh” del pubblico. Un’ immagine: i bambini con i loro k-way sgargianti seduti a terra, o una moviola mentale di certe acrobazie che non si potrebbero descrivere se non con un movimento ampio di braccia e gambe.
Voilà Brocante. Tema: partenza per lo spazio. Svolgimento: spettacoli di circo contemporaneo in giro per le prealpi della Val Colvera. Lingua di traino: l’esperanto non artificiale dell’osservazione.
Non è più il festival sotterraneo che accoglieva una manciata di artisti agli albori dell’evento nel 2002, quest’anno i circensi sono un centinaio, si disperdono tra le vie di pietra, montano e smontano con una velocità impressionante, tanto creativi quanto precisi nell’ordinare e riporre attrezzi o intrattenere il pubblico mentre si allestisce un altro palco, lavorano come una squadra in cui ognuno ha un compito sebbene la qualità più importante sia la versatilità.
Sono parchi di parole ma eloquenti nei gesti, i circensi sono concentratissimi in piazza, in privato si sciolgono dopo aver riempito il bicchiere, perché per loro il festival è soprattutto una vacanza, un ritiro in mezzo al nulla con colleghi senza sciatiche da scrivania, ma con corpi snodabili e muscoli in ordine come manichini da laboratori di anatomia.
Il centro nevralgico è la Domus pacis di Roberto Magro, che ha allestito la mansarda a foresteria per i suoi ginnasti, lì si decide come gestire la giornata in base alla clemenza del tempo, ergo si opta quasi sempre per l’improvvisazione, anche se la qualità degli spettacoli fa pensare che poco sia merito del caso.
Se il pubblico vuole il gol, come si dice, Brocante è il luogo giusto, ma le piroette, i mano a mano, la giocoleria e i trapezi sono quasi limitati ad essere solo lo sfondo, è l’atmosfera palpabile, l’attesa preannunciata che semplicemente un’asse, una corda o delle palline, diventeranno un’opera immanente. Lo spettacolo si presta a ciò che è disponibile nei paesi: terrazze o piazze, muretti o fontane, la performance è irripetibile perché non ci sono repliche della Val Colvera.
Lunedì serata inaugurale a Lunghet, una casa in mezzo al bosco di proprietà di un americano che l’ha trasformata in una sala di registrazione, il martedì sera l’appuntamento è al Circolo operaio di Frisanco, spartana arena paesana in cui vanno in scena due spettacoli: Seul avec vous dei Duo Leo e Respire, della coppia italo-svizzera Circocentrique. Accanto me è seduta Serena, psicologa iscritta all’albo, compagna di liceo, di stanza a Padova e protagonista principale di quasi tutti i bivacchi della mia giovinezza. Non riesce a controllare la gioia, ride a crepapelle, agita la gamba nervosamente, stringe le spalle in tensione, salta sulla sedia, applaude sbracciandosi: sta assistendo all’apparente caduta di ogni legge fisica che governa il mondo, ha liberato il suo fanciullino, è tornata a percorrere i sentierini delle fiabe, in cui l’intreccio della trama preannuncia un lieto fine che non è comunque degno dell’intrigo. I Circocentrique vanno in scena con una sfera gigante, una palla, tre palline da giocoleria e la roue Cyr. Si muovono per un’ora con poche pause, ma rapiscono talmente lo sguardo che quel lasso diventa il tempo mitico del racconto, catturano ogni centimetro di visuale, compartiscono in visione. I genitori di Max hanno una scuola di circo in Svizzera, ma lui ha scelto di frequentare l’Ecole Supérieure des Arts du Cirque a Bruxelles, dove a conosciuto Alessandro e ha allestito insieme a lui questo e altri spettacoli. In scena rivaleggiano come due bambini che si rubano i giochi, poi ognuno concede all’altro il suo a-solo, Alessandro sta in equilibrio sulla sfera e nel frattempo gioca con tre palline, Max si infila nella roue Cyr e volteggia in circolo e su sé stesso fino a stordire lo spettatore. Contrariamente a quanto pensassi, Alessandro mi ha detto che lo spettacolo è stato preparato in solo tre mesi, da aprile Respire è in tournée con plauso indiscusso.
Allenarsi per raggiungere un così alto livello tecnico richiede un impegno costante, per cinque anni gli allievi praticano otto ore al giorno, nel frattempo scelgono la loro specialità, pensano agli spettacoli, fondano compagnie, partono per il mondo e si perfezionano. Ma al di là delle attitudini e dei sacrifici, sono felici. È evidente il loro godimento mentre si lanciano, si appallottolano, si arrampicano e si sorreggono a vicenda scambiandosi quegli sguardi profondissimi che sono basati sulla fiducia e sulla stima. Per tutta la settimana ho avvertito la presenza costante di tutto il gruppo di artisti venuti in Friuli, tutti coesi e impegnati a contribuire e partecipare agli spettacoli. “Ci sono invidia e competizione?” chiedo ancora ad Alessandro. “Di certo si è portati ad osservare con occhio tecnico, è difficile astenersi dal giudizio, la realtà circense è un mondo piccolo e settoriale, si impara guardando gli altri perché chiaramente si frequenta quell’ambiente. Nonostante le rivalità, se qualcuno ha scelto la mia stessa specialità è difficile che non si offra di darmi consigli e suggerimenti. Certo, ogni spettacolo gode di un certo copyright non scritto, per cui la bravura dell’artista sta nell’inventarsi un numero tutto suo. Le qualità più importanti sono la spinta propositiva e la capacità di codificare le varie discipline in modo viscerale. Le basi del circo sono sempre le stesse e sono molto semplici, decontestualizzarle è necessario per inventare e continuare a sperimentare.”
Tra equilibri sospesi, armadi smontabili, pali cinesi, clown, e tante Nadia Comaneci sorridenti che vanno di spalla in spalla, l’intrattenimento è anche cabaret: Mark, di Philadelphia, è mezzo irlandese e mezzo svizzero: arriva sempre puntuale ma sempre sbronzo. Giorgio, l’adorabile presentatore in smoking su misura, infila la testa dentro un albero e balla il tip tap mentre Jorge si sta preparando per danzare nudo, in mezzo al bosco, illuminato da un proiettore.
La settimana di festa si conclude il venerdì con lo spettacolo itinerante per le vie del Comune. La sensazione è la stessa di quando si sta per finire un bel libro: si sente la mancanza dei personaggi come se avessero accesso al cargo della nostra immaginazione rendendola tangibile. Il fuggi fuggi dalla piazza dell’ultimo spettacolo si palesa quando salgono gli onorevoli assessori con i loro discorsi preconfezionati, mentre è con grande slancio che il pubblico raggiunge i cappelli delle offerte, invaso dall’ombra dell’altissimo trapezio.
L’esibizione è sicuramente il culmine della ricerca, la prova emozionale del nove, la proiezione delle proprie fatiche sul viso di chi guarda. Non si dimentica facilmente la faccia dei profughi africani che hanno trovato accoglienza in questa vallata: non riuscivano a stare composti in platea, avevano bisogno di sostenersi l’un l’altro, si mettevano le mani alla testa dall’incredulità, merito delle energie riciclabili di Brocante, per l’appunto, che si propagano come onde scomposte. Il causa-effetto è uno scambio continuo e connesso, questi ginnasti tarantolati hanno un’anima al contagio, e anche solo vederne uno scorrazzare senza senso sul perimetro della scena, fa riflettere sulla nostra scarsa capacità di fare cose senza un fine utile, come una corsa scema, o salire le scale su un piede solo, sfogare l’autoironia, permettersi di sbagliare proprio perché mettersi in gioco è già un evento rarissimo. Altrettanto raro, tra l’altro, è trovare un’organizzazione impeccabile come lo è stata quella che si è occupata del festival, non gli stemmi dei patrocini, dell’ente pagante, dell’arte concettuale come assenza di sostanza, ma la purezza della volontà e della spensieratezza senza scopo di lucro, se non rubare quello scampolo di infanzia che rende tutto enorme e incantevole.
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