Autore: Roberto Bonfanti
Editore: Falzea (collana Istanti)
Pagine: 180
Prezzo: 13,00 Euro
ISBN-13: 9788882963255
Quell’istante di straniamento le diede una sorta di piacevole capogiro e probabilmente fece balenare nella sua mente intorpidita l’idea di quanto sia curioso che, quando si fissa un solo punto, si finisca col non riuscire a capire nulla di ciò che sta realmente accadendo proprio in quel centimetro quadrato di mondo su cui si sta puntando lo sguardo.
Roberto Bonfanti, In fondo ai suoi occhi.
Dopo la pubblicazione della raccolta di racconti Tutto passa invano e il romanzo L’uomo a pedali, In fondo ai suoi occhi (Falzea Editore) è la terza prova narrativa di Roberto Bonfanti, scrittore nato nella provincia lecchese nell’anno della morte di Piero Ciampi ed Henry Miller. Gli occhi richiamati dal titolo sono quelli di Elisabetta, giovanissima ragazza disillusa alle prese con l’ambiguità dell’esistenza.
La protagonista del romanzo, al tempo in cui finì il liceo, decise di dare una svolta radicale alla sua vita, quasi di sorpresa. Senza pensarci troppo, lasciò la città dov’era nata e cresciuta, Milano, per raggiungere a Roma un ragazzo più grande di lei, un musicista: “Forse si lasciò affascinare dalla sua aria da poeta bohémien fuori tempo e dal suo essere così tremendamente sicuro di se stesso e di ciò che voleva realizzare. Forse, semplicemente, in lui vide la via più comoda e immediata per scappare via da tutto quanto nel modo più plateale, irrazionale e cinematografico possibile. Forse un po’ tutte queste cose assieme”.
I cinque anni passati nella capitale, però, furono caratterizzati da un susseguirsi di lavori precari: commessa, segretaria, modella, impiegata, barista, tutte esperienze durate pochi mesi che avrebbero smorzato l’entusiasmo di chiunque. Questo è ciò che avviene prima di una notte d’inverno quando, senza una motivazione apparente, Elisabetta decide di lasciare Roma e il suo compagno per rivolgere nuovamente lo sguardo verso la città meneghina, in un viaggio a ritroso che le farà ritrovare alcuni dei luoghi e dei ricordi dell’adolescenza.
Ritornata a Milano, si stabilisce per un breve periodo nella casa della nonna, dove da bambina aveva passato ore liete. Trascorre le fredde giornate prenatalizie seduta su una panchina a fumare, impegnata a districarsi tra le memorie del passato e intenta a trovare un lavoro fra le inserzioni dei giornali. In seguito, grazie ad una sua vecchia amica – la tipica studentessa universitaria della Milano “da bere” – che diventerà sua coinquilina, Elisabetta troverà un impiego come baby-sitter; ma quest’equilibrio precario non durerà molto perché, stanca di quell’esistenza vuota e a tratti futile, la giovane deciderà presto di ripartire verso nuovi orizzonti. Questa è, a grandi linee, la vicenda di In fondo ai suoi occhi.
Al di là di alcuni personaggi di contorno appena abbozzati, il romanzo è interamente incentrato sulla figura di Elisabetta, una ragazza che sembra tesa in una costante e inesorabile fuga, anche se in realtà ciò che emerge è la sua incessante staticità. Lo spostarsi, la voglia di andare in un altro posto nella speranza di un futuro che sia degno di questo nome, non è altro che un movimento superficiale e illusorio, perché ciò che accompagna la giovane in ciascuno di questi spostamenti è un sentimento di continua inquietudine.
Una sorta di malinconia perenne accompagna la protagonista fin dalle prime pagine: in questo malessere Elisabetta trova un porto sicuro, che le dà riparo nei confronti di un avvenire di difficile interpretazione e ancor più arduo da inventare. Il trasferimento da una città all’altra non è che una necessità di cambiamento nella volontà di reinventarsi un altro sé, questo purtroppo non avviene a causa di molteplici fattori.
Uno di questi è il complesso rapporto con la madre (tema che emerge a poco a poco dall’ordito del romanzo), con la quale non parla da più di cinque anni, cioè dal giorno in cui partì per andare a Roma. Una relazione incrinatasi soprattutto dopo la morte del padre a seguito di una lunga malattia: “Tante volte Elisabetta si era chiesta come avrebbe potuto essere diversa la sua vita se suo padre non se ne fosse andato così presto, lasciandola da sola con sua madre e il resto del mondo”.
In questo passaggio è interessante notare come la madre venga congiunta al “resto del mondo” quale elemento avverso, estraneo. Così, la difficoltà all’interno del microcosmo domestico non è che una rappresentazione di quel generalizzato sentimento di disagio nei confronti delle persone, e l’impossibilità di trovare una certezza, soprattutto lavorativa, lascia la protagonista in balia di una “libertà eccessiva”, difficile da convogliare in un obiettivo.
Bonfanti coglie in questo punto l’occasione per sferrare una critica alla società consumistica, incapace di vedere e disinteressata ad aiutare una ragazza che, derubata della borsetta in una delle vie dello shopping, si trova in difficoltà: “Non una sola persona che si preoccupasse del motivo per cui era lì, a terra, sanguinante e visibilmente sconvolta. Non un solo uomo che, avendo assistito alla scena, decidesse di perdere un secondo della sua vita per aiutarla, anche soltanto facendo una stupidissima telefonata al 113”.
Ecco che, dispiegatosi questo panorama, Elisabetta ci appare quale protagonista perdente, vittima incapace di avviarsi in un mondo divenuto estremamente impervio e precario, senza coordinate spaziali che aiutino ad orientarsi, e dove l’individualismo diventa al contempo causa di solitudine e reazione difensiva. Dunque, arrivati verso la fine, non ci sorprende che Elisabetta decida di “immolare” il proprio corpo lasciandosi trasportare nel collettivo vuoto morale, incapace di un gesto creativo che le permetta di affrancarsi con forza e fantasia.
Per quanto riguarda il lato puramente tecnico, Bonfanti dà prova di una buona capacità narrativa; perché, sebbene In fondo ai suoi occhi non presenti grandi avvenimenti, intrighi o colpi di scena, il romanzo tiene il ritmo grazie alla ridistribuzione cronologica, in un alternarsi continuo di tempi narrativi che tengono viva l’attenzione; e, con essi, la scrittura si stende in un’andatura scorrevole, facendo emergere periodi di piacevole sorpresa per intensità e costruzione. Il distacco dalla vita della protagonista però, non viene raccontato – soprattutto in alcuni passaggi – con altrettanta distanza da parte del narratore, ma questo è solo un piccolo neo.
Per concludere, bisogna dar merito a Roberto Bonfanti di aver raccontato una vicenda semplice ma sincera, tratteggiando i pensieri e le paure di una ragazza come tante, immersa nell’enigmatica complessità delle relazioni umane e sociali.
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