Il fine settimana del 12 e 13 giugno i seggi saranno aperti e si potrà votare su quattro quesiti. Due riguarderanno la privatizzazione dei servizi idrici, uno il legittimo impedimento, uno il ritorno all’energia nucleare.
Se ne è parlato poco e se ne è parlato male, e sono state fatte scelte che potrebbero indebolire l’affluenza alle urne mettendo a rischio il quorum, quando il voto è per il cittadino un diritto e un dovere e dovrebbe, di conseguenza, essere incoraggiato in ogni caso, come espressione di civiltà. È essenzialmente per principio che andrò a votare e che vorrei che molti altri lo facessero. In un mondo in cui tutti hanno un blog e desiderano tanto ardentemente far sentire la propria voce, rinunciare al voto è una sciocchezza e un’incoerenza.
Non è per un generico e apocalittico timore “del nucleare” o per la superstiziosa paura di ammalarmi di cancro e/o generare una prole malata e deforme che andrò a votare. Ovviamente è anche per le conseguenze che tale scelta può avere sulla salute dell’ambiente e subito dopo delle persone, e quindi – come non viene mai ricordato – sulla spesa pubblica, che risparmierebbe sul costo del kilowatt, ma esborserebbe cifre faraoniche per far fronte a gravi situazioni sanitarie; prima ancora di questi timori, però, ciò che mi spinge a votare per fermare, almeno per un altro po’, il ritorno alla produzione di energia nucleare è, paradossalmente, il fatto che è altamente probabile che le paventate conseguenze non ricadano su di me. Possiamo chiamarlo “orizzonte di responsabilità” o, più semplicemente, principio dell’antico adagio “se non giochi al gioco non fare le regole”.
Ho fatto due conti. Ora ho trent’anni. Si prevede che le centrali possano essere operative in una ventina d’anni; facendo del qualunquismo su “come vanno le cose in Italia” posso sperare di compierne cinquantacinque prima che la produzione di scorie radioattive abbia inizio. Ammettendo e non concedendo che io abbia la fortuna di invecchiare, c’è da credere che nei primi anni della loro vita le centrali funzionino efficacemente e in (relativa) sicurezza, perciò è probabile che io non assista ad un disastro nucleare su suolo italiano (e in generale, anche la statistica, considerando che ho già visto Chernobyl e Fukushima, dovrebbe essere dalla mia parte). Resta il problema delle scorie, obietteranno i più attenti, ma voglio essere ottimista e credere che nei prossimi vent’anni si individuerà un sistema sicuro per lo smaltimento, che permetta di mettere in sicurezza anche quelle che oggi sono in attesa di smettere di nuocere presso le centrali non ancora del tutto smantellate. È dunque possibile che il problema delle malattie dovute alle radiazioni non mi coinvolga e proprio per questo non ho il diritto di decidere per altri. La democrazia – con tutti i suoi limiti – è un sistema che permette al popolo di esprimersi e prendere decisioni che riguardano lo svolgimento della vita pubblica. Ma una nazione non deve decidere per un’altra. Se decidiamo oggi di percorrere la strada del nucleare, non interpelliamo il popolo che abiterà l’Italia nuclearizzata e di fatto ne diventiamo il dittatore.
Accanto all’imperativo morale, mi spingono a fermare il ritorno all’atomo anche delle più prosaiche perplessità, che nei dibattiti televisivi sono state sbrigativamente liquidate come le paure di chi – alla stregua dei primitivi spaventati dal flash delle prime macchine fotografiche viste – non ha competenza dell’argomento scientifico e non comprende i vantaggi di questa forma di energia. Infatti, non li comprendo. Non comprendo come i cittadini potranno risparmiare, se dovranno in qualche modo sostenere i costi della costruzione di nuove centrali e dell’ammodernamento di quelle esistenti (per il cui smantellamento, però, si è già speso e si spende).
Non comprendo, soprattutto, come possano risparmiare i cittadini di una nazione il cui sistema sanitario deve far fronte a crescenti casi di tumori.
Lo scorso giovedì, durante il programma televisivo Annozero, Chicco Testa – credo per rassicurare sui danni tutto sommato contenuti che un incidente nucleare potrebbe effettivamente comportare – riferiva che dei 4.000 bambini ammalatisi di cancro a seguito dell’esplosione della centrale di Chernobyl, solamente quindici non sono sopravvissuti. La sciagura in Unione Sovietica è accaduta venticinque anni fa. Le radiazioni permangono nell’ambiente per centinaia di anni e la radioattività rilevata intorno al sito ormai “sigillato” ha ancora livelli intollerabili. Ho il sospetto che i restanti non se la siano ancora cavata del tutto. Ho il sospetto, soprattutto, che per far sopravvivere, e magari in qualche caso anche guarire, 3985 individui malati di cancro, le loro famiglie e lo Stato stiano sostenendo costi per le cure piuttosto impegnativi. Poter risparmiare sulla bolletta per avere più soldi da spendere in medicine ha, a mio avviso, del perverso.
Non comprendo come verranno gestite le scorie, se finora si sono trovate solo soluzioni provvisorie, e non comprendo come si possa decidere di avviarsi alla produzione di ulteriori scorie senza prima sapere come renderle inoffensive. Perché se sulla sicurezza delle centrali del futuro possiamo disquisire a non finire senza mai giungere alla verità che conosceranno solo i posteri, sulla pericolosità delle radiazioni qualche dato certo lo abbiamo, a meno che, naturalmente, non vogliamo pensare che i radiologi, che si nascondono dietro una parete di piombo ogni volta che fanno una lastra, non siano tutti dei pazzi paranoici e pure un po’ ignoranti.
Non comprendo come si possa pensare che la nostra sicurezza sia allo stesso modo a rischio ora che ci sono centrali nucleari nei paesi confinanti, perché se è vero che un incidente in Svizzera ci danneggerebbe quanto uno a Caorso, è anche vero che se proprio se fossi obbligata a giocare alla roulette russa, io non metterei un altro proiettile nel tamburo.Nel dubbio, allora, non capendo i vantaggi e non avendo ricevuto sufficienti rassicurazioni, il minimo mi pare soprassedere.
Anche la salute è un diritto-dovere: significa che lo Stato mette a disposizione l’assistenza medica e che il cittadino, da parte sua, prima di curarsi deve adottare tutti gli accorgimenti per non ammalarsi. Per esempio deve lavarsi bene le mani prima di mangiare, vestirsi coerentemente con la stagione e il clima, evitare di esporsi ai contagi e, in generale, evitare situazioni che mettano a rischio la sua salute. Ne deriva che è tenuto a non esporsi a radiazioni nucleari, e un buon sistema è senz’altro quello di tenersi alla larga dalle centrali e dalle scorie che producono. Essendoci ancora qualche incertezza sulla possibilità di migrare su Saturno, evitare di riempire il territorio di centrali potrebbe essere una soluzione.
La generazione che ci ha preceduto non ha avuto la tracotanza di decidere per me e il livello attuale del progresso pare averle dato ragione e neppure oggi siamo in grado di sapere se al momento di accendere i reattori ci saranno le condizioni per farlo in reale sicurezza, e dovrebbe essere un gesto istintivo di conservazione della specie mettere in salvo i nostri successori da un pericolo più che potenziale.
Quando ero piccola e insistevo per ottenere qualcosa che non era il caso di concedermi, mia madre mi faceva passare la voglia di fare i capricci dicendomi, senza la minima indulgenza nella voce, che “non è che se mi fai una domanda venti volte la risposta cambia. Puoi pure chiedermelo cento volte: io ti dirò sempre di no”.
Non avrei mai creduto di dirlo, ma ora vorrei che l’Italia fosse gente fatta di gente come mia madre.