Kevin Canty, Dove sono andati a finire i soldi
Titolo: Dove sono andati a finire i soldi
Autore: Kevin Canty
Traduzione: Simona Garavelli
Titolo originale: Where the money went
Anno di pubblicazione: 2009
Editore: Minimum Fax
Pagine: 187
Prezzo: 13,50 Euro
ISBN: 9788875212940

 

Sollevando gli occhi da conti e fatture, vide Steve che si dondolava su un canottino di plastica color argento nella parte più profonda, a occhi chiusi, ormai da ore. Da quando aveva compiuto dieci anni era ingrassato, ma per lei era solo «robusto». Ogni volta che Braxton alzava lo sguardo vedeva suo figlio in quel punto, immobile, che galleggiava. Ha preso da lei, pensò con rabbia. La stessa indolenza. Lo osservò con disgusto. Il resto dei soldi, quello che era rimasto, se ne andò in avvocati.

 

Potente e brillante. Talmente lucido da risultare quasi spietato. L’ultimo piccolo capolavoro di Kevin Canty pubblicato da Minimum Fax, Dove sono andati a finire i soldi (titolo originale Where the money went, edito nel 2009), è questo e molto altro. Il libro proietta il lettore in un mondo fatto di emozioni allo stato puro. L’autore si cimenta nel racconto delle inquietudini di un universo maschile in disintegrazione, con il chiaro intento di infrangere quel tabù che vuole siano soprattutto le donne a saper vivere ed esprimere sensazioni forti e reali.

Canty, probabilmente ancora troppo sottovalutato dal pubblico italiano, riesce stupendamente nel suo proposito di scandagliare i profondi abissi dell’animo umano: il risultato è un volume denso di contenuti ma al contempo leggero nella scrittura (merito, questo, anche dell’ottima traduzione di Simona Garavelli). Le parole sono misurate, essenziali, a rendere il più possibile fluida la narrazione, anche per mezzo dei tempi dell’azione , che sono per lo più ristretti: il tutto si svolge infatti, vorticosamente, nell’arco di pochissime ore.

Le impressioni soggettive sono intervallate da suggestive descrizioni di paesaggi – quasi lunari – che spiccano ai margini del campo visivo (un bosco interamente coperto di neve, i resti ancora fumanti di una foresta bruciata da qualche piromane, un deserto di pietre e cactus) o da ambienti “familiari” (un appartamento, una biblioteca, una casa con piscina, il bar di un motel) trasfigurati in altrettanti spazi alienanti, vuoti e privi di personalità.

Dietro la grigia patina di quotidianità che circonda i protagonisti, affiorano così con estrema naturalezza i pensieri più nascosti, le paure più recondite. Le storie sono volutamente semplici, ma vengono elevate fino ad uscire da quella scorza di banalità che le riveste, regalando un piacevole senso di tensione misto a frustrazione nei confronti di un precipitare degli eventi contro cui è vano opporre resistenza. Il lettore rimane incollato alla pagina dalla prima all’ultima parola, si ritrova a tifare per coloro che (siano essi Braxton, Lander, Andrew, Rossbach) tentano mordacemente di risalire la china dopo essere precipitati.

I nove personaggi si rivelano simili l’uno all’altro. Di alcuni conosciamo il nome, di altri abbiamo solo un’immagine abbozzata, di tutti ci viene narrata una storia fatta di tormenti. Si va da chi ha deciso di separarsi dalla moglie a chi ha quasi ucciso il proprio fratello in un incidente stradale; da chi passa un ultimo pomeriggio con il figlio della compagna che lo sta lasciando a chi trascorre una serata in un motel attendendo l’ex moglie, mentre una perfetta sconosciuta tenta di sedurlo; da un agente che tenta di vendere immobili portandosi dietro il figlio di quattro anni a un gruppo di cinque amici che si ritrovano per cena e vedono svelate le reciproche infedeltà coniugali. Ritroviamo i protagonisti nel fulcro della vitalità, scopriamo – mano a mano che scorrono le pagine – il piccolo grande segreto celato dietro le loro “normali” esistenze. Li vediamo catapultati in un abisso che risucchia completamente ogni loro certezza, erode dalle fondamenta quella vita regolata fatta di piatte relazioni familiari e lavorative, per rimpiazzarla con una fresca ventata di nuove e coinvolgenti passioni.

Allora ci immaginiamo Braxton che, seduto al tavolo della cucina, passa mentalmente in rassegna i conti dei soldi spesi per la scuola dei figli, le avventure sportive, le feste, sino a rivedere l’immagine della moglie ubriaca al loro ultimo party e a guardare con disgusto il grasso figlio che galleggia nudo ed immobile sopra un canotto nella piscina. Non ci meraviglia trovarlo lì a maledire il mondo intero.

Kevin Canty - foto: Victor SchiferliAncora, non ci scandalizziamo nell’ascoltare la vicenda del giovane vedovo che vive nell’anonimato e decide di abbandonarsi completamente a una nuova storia d’amore. Apprezziamo il suo lungo monologo diretto alla defunta compagna, quasi a volerla rassicurare, a scusarsi con lei per aver portato un’altra in casa loro, nel loro letto, con intorno ogni oggetto che ricorda solo e sempre lei: “E ho pensato a te per tutto il tempo […] ed Eleanor era spaventata e circospetta, e forse per un attimo avrà pianto, era buio, non saprei dire. Quello che stavamo facendo mi pareva brutale e sbagliato […] Ecco cosa sono venuto a dirti, amore: che la vita ama la vita. Tu eri lì, ma Eleanor era lì vicino a te. Lo è ancora, e tu lo sei ancora, noi tre siamo uniti in un nodo. Non volevo ferirti, non so neppure se ci guardavi o meno, non lo saprò mai. Ma la vita ama la vita”. Proviamo un senso di profonda compassione per quel ragazzo, per la sua giovane amante, per i sopravvissuti che chiedono di potersi abbandonare ancora una volta alle gioie del presente, e null’altro.

Sono questi gli uomini, fragilissimi, descritti da Canty: persone vere, vicine a noi, che, messe all’angolo, scelgono di affrontare i propri nodi. Poste di fronte alla possibilità di dare una svolta alla loro esistenza, prendono il coraggio a piene mani e si lanciano a capofitto nell’impresa. Soprattutto in avventure sentimentali che, se inizialmente possono dare l’impressione di essere quanto mai avventate, risultano invece profondamente meditate, concrete e destinate, con ogni probabilità, a modificare radicalmente le loro vite.

L’autore, una volta percorsa la parabola ascendente assieme ai protagonisti, dopo averli condotti di fronte al compimento del fatto, della scelta, li abbandona a un’immagine di loro stessi che procedono verso l’ignoto, posti come sono di fronte a relazioni che potrebbero essere ancor più disastrose delle precedenti, ma che lasciano comunque sempre aperto un piccolo spiraglio di felicità e speranza.

Dalla finestra aperta entrava il profumo della primavera del Midwest, di benzina, di rose e catrame, i suoni della gente che dava gas in lontananza, il sibilo incessante dell’interstatale, il suono di vetri infranti e di risate, il suono della vita stessa”.