Autore: Philip Roth
Traduzione: Norman Gobetti
Titolo originale: Indignation
Anno di pubblicazione: 2009
Editore: Einaudi, Torino
Collana: Supercoralli
Pagine: 142
Prezzo: 17,50 Euro
ISBN: 9788806195861
Sì, se solo le cose fossero andate così invece che cosà… Saremmo tutti insieme e vivremmo per sempre e tutto andrebbe bene. Se solo suo padre, se solo Flusser, se solo Elwyn, se solo Caudwell, se solo Olivia…! Se solo Cottler…
Philip Roth, Indignazione
Indignazione, del mirabolante Roth, è un capolavoro. L’ultima opera edita in Italia, da Einaudi, con la squisita traduzione di Norman Gobetti, ha per intensità e contenuti la capacità di avvicinarsi a La macchia umana, forse il romanzo più complesso dell’autore. Finito di leggere “l’indignazione di Roth”, si ha voglia di riattraversare in compagnia del protagonista quei frammenti di vita raccontati, per capire dove il destino ha preso una via traversa.
In questo libro assistiamo alla messa in discussione dei vecchi sistemi da parte di un giovane che tra quei valori cresce stretto, e ritroviamo anche l’inettitudine dell’uomo di fronte all’evento della morte, sentimento già provato in Everyman. Riconosciamo inoltre lo stile caratteristico della penna americana, quando ad emergere per intero dalla trama è la strapotenza della Storia capace di annichilire la volontà degli individui: Alla fine la storia metterà le mani su di voi. Perché la storia non è il fondale: la storia è il palcoscenico!
Come spesso accade, Roth ci porta nella cittadina che gli ha dato i natali, Newark. Siamo nel New Jersey anno 1951 e qui cresce e vive il protagonista Marcus Messner, studioso e diligente diciannovenne pargolo di una famiglia ebrea. Ma, sarà perché una guerra è finita e un’altra è già iniziata da due anni – la guerra in Corea -, il padre, un macellaio kosher, inizia a diventare paranoico e iperprotettivo nei confronti dell’amato figliolo. Per sottrarsi alle ossessioni del padre, Marcus, dopo aver passato un anno di college a Newark, decide di scappare il più lontano possibile dai familiari. Si iscrive al Winesburg College, in Ohio, nel profondo Midwest conservatore e protestante. Nei week-end lavora in un bar del posto per aiutare i genitori a pagare la retta e, per la paura di venir spedito in prima linea nella guerra in Corea, Marcus, pur essendo uno dei migliori studenti, si impegna intensamente ai corsi. Ad un tratto però, come un fulmine a ciel sereno, il protagonista anticipa gli eventi e ci confessa d’essere morto: al lettore, posizionato ora come uno spettatore brechtiano, non resta che capire il “come” seguendo attentamente gli sviluppi della storia.
Nel college profondamente tradizionalista dove studia e dove è obbligatorio frequentare la cappella, Marcus scopre di avere un animo holdeniano: iniziano per lui i primi conflitti con l’ambiente che lo circonda. In principio litiga con i compagni di stanza, tra cui un bohemien omosessuale che ascolta fino a notte Beethoven, e con un ragazzo lunatico, la cui unica passione è la sua LaSalle. Decide, allora, di rifugiarsi in un alloggio vecchio, isolato e dimenticato. Lo scontro maggiore di Marcus, però, ha luogo nell’ufficio del decano Hawes D. Caudwell, il quale chiede al giovane il motivo delle sue continue difficoltà a socializzare. Marcus tenta di spiegare al decano le varie incomprensioni capitategli, tuttavia, quale spirito dissidente, sottolinea anche il suo diritto alla libertà. Esasperato da cotanto bigottismo, Marcus si mette a citare frammenti da Perché non sono cristiano di Bertrand Russell in faccia al decano Caudwell.
In quest’esistenza oppressa compare Olivia Hutton, emancipato spirito nell’America anni ’50. La studentessa è per Marcus tutto ciò che di più lontano, impensabile ed esotico esista al mondo, sia per i genitori upper class divorziati, sia per il tentato suicidio di cui porta ancora le cicatrici ai polsi. Olivia sbalordisce il lettore ed il protagonista con la sua “sfrontatezza” sessuale: per il protagonista ritorna il “lamento di Portnoy”. Marcus – una delle figure più emotive, passionali ed ingenue uscite dalla mente di Roth – essendo completamente impreparato a tanta indipendenza sessuale e mentale, si domanda perché Olivia Hutton si comporti con lui in questo modo così disinibito rispetto alla comune condotta morale dell’epoca. Più tardi, il protagonista dichiarerà di esser stato così pateticamente convenzionale al mio arrivo qui da non riuscire a fidarmi di una ragazza solo perché mi ha fatto un pompino!
La voglia e l’impulso di trasgressione covati fino a quel momento, sfociano nell’integro Winesburg College durante una sera turbata dalla neve. Al grido: “Mutande! Mutande! Mutande!”, gli studenti della sezione maschile si riversano in massa nel dormitorio femminile, mettendo scompiglio. Ovviamente, molti di loro vengono espulsi a causa del grave gesto di ribellione. Proprio in questo clima da “caccia alle streghe”, Marcus viene scoperto a eludere le funzioni religiose nella cappella, dunque espulso e spedito in Corea a combattere l’avanzata comunista cinese.
Finisce così il capitolo “Sotto morfina”, ovverosia il racconto di Marcus della sua breve vita. Nell’appendice al componimento narrativo, è lo stesso Roth che risolve la fine del ragazzo, straziato dall’inferno della guerra in Corea, all’alba del 31 marzo 1952.
Le ripetute siringate di morfina iniettate nel suo braccio – spiega l’autore – mantennero il soldato Messner in un protratto stato di profonda incoscienza, pur senza sopprimere i suoi processi mentali. Da poco dopo mezzanotte, tutto giaceva in un limbo tranne la sua mente. Fino al momento in cui divenne impossibile recuperarlo e smise di ricordare, la morfina alimentò il serbatoio del suo cervello con una sorta di carburante mnemonico.
Tutto il romanzo è durato il tempo di una notte, nella quale Marcus ha ripercorso e scandagliato la sua memoria alla ricerca di eventuali colpe o errori che potessero dare una spiegazione a un’esistenza finita in maniera violenta e insensata. Ma nell’estremo tentativo di districarsi tra fato e dèi, fluttuano insolute nell’oblio le domande di una vita. Non è stato sufficiente ad un giovane brillante in lotta per la libertà essere il più bravo del suo corso in un mondo stupido e dominato dal Caos.
Indignazione, del mirabolante Roth, è un capolavoro. L’ultima opera edita in Italia, da Einaudi, con la squisita traduzione di Norman Gobetti, ha per intensità e contenuti la capacità di avvicinarsi a La macchia umana, forse il romanzo più complesso dell’autore. Finito di leggere “l’indignazione di Roth”, si ha voglia di riattraversare in compagnia del protagonista quei frammenti di vita raccontati, per capire dove il destino ha preso una via traversa.
In questo libro assistiamo alla messa in discussione dei vecchi sistemi da parte di un giovane che tra quei valori cresce stretto, e ritroviamo anche l’inettitudine dell’uomo di fronte all’evento della morte, sentimento già provato in Everyman. Riconosciamo inoltre lo stile caratteristico della penna americana, quando ad emergere per intero dalla trama è la strapotenza della Storia capace di annichilire la volontà degli individui: Alla fine la storia metterà le mani su di voi. Perché la storia non è il fondale: la storia è il palcoscenico!
Come spesso accade, Roth ci porta nella cittadina che gli ha dato i natali, Newark. Siamo nel New Jersey anno 1951 e qui cresce e vive il protagonista Marcus Messner, studioso e diligente diciannovenne pargolo di una famiglia ebrea. Ma, sarà perché una guerra è finita e un’altra è già iniziata da due anni – la guerra in Corea -, il padre, un macellaio kosher, inizia a diventare paranoico e iperprotettivo nei confronti dell’amato figliolo. Per sottrarsi alle ossessioni del padre, Marcus, dopo aver passato un anno di college a Newark, decide di scappare il più lontano possibile dai familiari. Si iscrive al Winesburg College, in Ohio, nel profondo Midwest conservatore e protestante. Nei week-end lavora in un bar del posto per aiutare i genitori a pagare la retta e, per la paura di venir spedito in prima linea nella guerra in Corea, Marcus, pur essendo uno dei migliori studenti, si impegna intensamente ai corsi. Ad un tratto però, come un fulmine a ciel sereno, il protagonista anticipa gli eventi e ci confessa d’essere morto: al lettore, posizionato ora come uno spettatore brechtiano, non resta che capire il “come” seguendo attentamente gli sviluppi della storia.
Nel college profondamente tradizionalista dove studia e dove è obbligatorio frequentare la cappella, Marcus scopre di avere un animo holdeniano: iniziano per lui i primi conflitti con l’ambiente che lo circonda. In principio litiga con i compagni di stanza, tra cui un bohemien omosessuale che ascolta fino a notte Beethoven, e con un ragazzo lunatico, la cui unica passione è la sua LaSalle. Decide, allora, di rifugiarsi in un alloggio vecchio, isolato e dimenticato. Lo scontro maggiore di Marcus, però, ha luogo nell’ufficio del decano Hawes D. Caudwell, il quale chiede al giovane il motivo delle sue continue difficoltà a socializzare. Marcus tenta di spiegare al decano le varie incomprensioni capitategli, tuttavia, quale spirito dissidente, sottolinea anche il suo diritto alla libertà. Esasperato da cotanto bigottismo, Marcus si mette a citare frammenti da Perché non sono cristiano di Bertrand Russell in faccia al decano Caudwell.
In quest’oppressa esistenza compare Olivia Hutton, emancipato spirito nell’America anni ’50. La studentessa è per Marcus tutto ciò che di più lontano, impensabile ed esotico esista al mondo, sia per i genitori upper class divorziati, sia per il tentato suicidio di cui porta ancora le cicatrici ai polsi. Olivia sbalordisce il lettore ed il protagonista con la sua “sfrontatezza” sessuale: per il protagonista ritorna il “lamento di Portnoy”. Marcus – una delle figure più emotive, passionali ed ingenue uscite dalla mente di Roth – essendo completamente impreparato a tanta indipendenza sessuale e mentale, si domanda perché Olivia Hutton si comporti con lui in questo modo così disinibito rispetto alla comune condotta morale dell’epoca. Più tardi, il protagonista dichiarerà di esser stato così pateticamente convenzionale al mio arrivo qui da non riuscire a fidarmi di una ragazza solo perché mi ha fatto un pompino!
La voglia e l’impulso di trasgressione covati fino a quel momento, sfociano nell’integro Winesburg College durante una sera turbata dalla neve. Al grido: “Mutande! Mutande! Mutande!”, gli studenti della sezione maschile si riversano in massa nel dormitorio femminile, mettendo scompiglio. Ovviamente, molti di loro vengono espulsi a causa del grave gesto di ribellione. Proprio in questo clima da “caccia alle streghe”, Marcus viene scoperto a eludere le funzioni religiose nella cappella, dunque espulso e spedito in Corea a combattere l’avanzata comunista cinese.
Finisce così il capitolo “Sotto morfina”, ovverosia il racconto di Marcus della sua breve vita. Nell’appendice al componimento narrativo, è lo stesso Roth che risolve la fine del ragazzo, straziato dall’inferno della guerra in Corea, all’alba del 31 marzo 1952.
Le ripetute siringate di morfina iniettate nel suo braccio – spiega l’autore – mantennero il soldato Messner in un protratto stato di profonda incoscienza, pur senza sopprimere i suoi processi mentali. Da poco dopo mezzanotte, tutto giaceva in un limbo tranne la sua mente. Fino al momento in cui divenne impossibile recuperarlo e smise di ricordare, la morfina alimentò il serbatoio del suo cervello con una sorta di carburante mnemonico.
Tutto il romanzo è durato il tempo di una notte, nella quale Marcus ha ripercorso e scandagliato la sua memoria alla ricerca di eventuali colpe o errori che potessero dare una spiegazione a un’esistenza finita in maniera violenta e insensata. Ma nell’estremo tentativo di districarsi tra fato e dèi, fluttuano insolute nell’oblio le domande di una vita. Non è stato sufficiente ad un giovane brillante in lotta per la libertà essere il più bravo del suo corso in un mondo stupido e dominato dal Caos.