Tra i film più interessanti venuti fuori negli ultimi anni c’è sicuramente Ink, produzione indipendente del 2009 firmata dal trentatrenne statunitense Jamin Winans. Attribuire una categoria a Ink non è semplice: sci-fi, gore, drammatico, ma soprattutto dark. Una favola nera alla Tim Burton che, rispetto al regista dell’ultimo Alice in Wonderland, possiede una cifra stilistica diversa. È questo in definitiva il maggior pregio di Ink, perciò di Winans, che del film è autore, sceneggiatore, regista, editor e compositore: il possedere un’impronta personale, il prendere in prestito da altri senza scimmiottare nessuno. Ink si può definire una fiaba per bambini, raccontata da adulti: è la lotta tra bene e male, tra sogni e incubi, che ha luogo la notte quando dormiamo. Una battaglia per l’anima, combattuta tra due forze, quella della speranza e quella della disperazione. Poi c’è Ink, una sorta di barbone senza pace che per la sua redenzione deve consegnare l’anima di una bambina alla morte. Ad avventurarsi di più nella trama si rischierebbe di fare un torto al lettore, rivelando particolari fondamentali che verranno scoperti solo nell’epilogo, a sorpresa, della pellicola.
Il film di Winans prende in prestito qualcosa da Matrix, nei combattimenti (non nella tecnica della slow-motion) e nella scelta per alcune scene del viraggio al verde, le sue atmosfere ricordano il Dark City di Proyas e il protagonista principale la strega di Snow White, il film della Disney di cui il regista americano era un fan da piccolo. Ink, però, strizza l’occhio soprattutto al cinema di Terry Gilliam, a quel favoleggiare onirico di purezza coinvolgente, così come alle storie ombrose di Neil Gaiman e del suo Sandman. Girato con una videocamera pro di fascia bassa, una Sony V1U, non fa trasparire grandi ingenuità tecniche né tantomeno stilistiche. La scelta della videocamera deriva in realtà più da esigenze di produzione (dimensioni e maneggevolezza) che da quelle economiche, come spiega Winans, che in un primo momento aveva pensato a una “Cinealta”, poi scartata proprio perché troppo ingombrante. Ovviamente la piccola di casa Sony ha mostrato i suoi limiti, come la scarsa latitudine di posa che ha costretto in fase di ripresa a usare più luci del previsto nelle situazioni di interni, ma Winans è riuscito a ovviare ai problemi tecnici in modo egregio. La scelta di frammentare le inquadrature in decine di scatti è risultata poi sicuramente una soluzione interessante: questo comporta però uno studio maniacale di ogni inquadratura, come ammette Winans, che racconta di essere stato costretto a circa una dozzina di revisioni e aggiustamenti. Al di là delle discussioni tecniche, doverose comunque per un regista che è al suo secondo lungometraggio (il primo è “11:59”) , quello che colpisce di Ink è soprattutto lo stile.
Uno stile morbido, ovattato ma al contempo disturbante, che lega benissimo con la colonna sonora, studiata con cura. Un aspetto, quello del sonoro, a cui Winans tiene molto, considerandolo addirittura più importante del visivo per la riuscita di un buon film. La forza di un’opera cinematografica, però, si basa soprattutto sulla storia: se l’idea di redenzione con lieto fine o le frequenti scene d’azione potrebbero far storcere il naso ai puristi europei, più inclini in genere a una trama nichilista e antispettacolare, bisogna dire che in Ink sono caratterizzazioni in qualche modo giustificate, che poi rendono sicuramente il prodotto più appetibile per il marketing dell’industria cinematografica. Winans, infatti, non nasconde l’esigenza di arrivare a finanziamenti che potrebbero aiutarlo a realizzare le sue opere. Per la produzione di Ink, il regista nativo del Colorado dice di essersi costruito una base di fan negli ultimi dieci anni che può contribuire economicamente ai progetti, ma per questo suo ultimo lavoro ha preferito un iniziale autofinanziamento, realizzato ipotecando addirittura la casa. Una volta mostrata la qualità dell’opera, è poi riuscito a convincere investitori esterni. E tutto per un prodotto che si può definire quasi home-made , dato che Winans si è occupato della scrittura, della regia, dell’editing e della colonna sonora, mentre la moglie Kiowa ha svolto i ruoli di production designer, costume designer e sound designer. La collaborazione tra i due, oltre ad abbassare le spese, ha permesso un controllo totale sull’opera e ha migliorato l’efficienza tra i reparti. Per il futuro, però, Winans spera di poter contare su corposi contributi esterni: dopo Ink, trovarli sarà sicuramente più facile.