Autore: Jonathan Safran Foer
Traduzione: Irene Abigail Piccinini
Pagine: 368
Costo: € 18.00
Editore: Guanda
Collana: Biblioteca della Fenice
Anno di pubblicazione: 2010
ISBN: 8860881137
È antropomorfismo provare a immaginarsi dentro la gabbia di un animale d’allevamento? E antropodiniego non farlo?
Una gabbia per galline ovaiole concede in genere a ogni animale una superficie all’incirca di quattro decimetri quadrati: uno spazio grande poco meno di un foglio A4. Le gabbie sono accatastate in pile da tre a nove – il Giappone detiene il record d’altezza per le gabbie di batteria, con pile di diciotto gabbie – in capannoni privi di finestre.
Entra mentalmente in un ascensore affollato, un ascensore così affollato che non riesci a girarti senza sbattere (esasperandolo) contro il tuo vicino. (…)
Non c’è tregua, non c’è sollievo. Non arriverà nessun addetto a riparare l’ascensore. Le porte si apriranno una sola volta, al termine della tua vita, per portarti nell’unico posto peggiore…
Un’indagine durata quasi tre anni per realizzare un libro, documentatissimo, che porta la firma di Jonathan Safran Foer. Il tema affrontato è molto scottante per i giorni nostri: il consumo di carne animale. Non solo un libro-inchiesta, ma un intero viaggio alla scoperta di quello che succede prima, durante e dopo agli animali degli allevamenti intensivi, quelli che finiscono nei piatti che quotidianamente mangiamo, nei panini che addentiamo al pub. Un percorso attraverso le contraddizioni della società di oggi e le indescrivibili atrocità che questi esseri viventi devono subire prima di venire crudelmente ammazzati, ma anche uno sguardo delicato e amorevole nei confronti della famiglia. È proprio la famiglia, infatti, che ha spinto l’autore a compiere questo viaggio, prima personale e poi pubblico.
Tutto è partito dall’osservare le preoccupazioni di una nonna che – dopo aver sofferto la guerra e la relativa fame – misurava il benessere personale del nipote calcolando il quantitativo di cibo che riusciva a ingurgitare, a volte in modo quasi maniacale e ridicolo. Il cibo per lei non era solo cibo, era terrore, dignità, gratitudine, vendetta, gioia, umiliazione, religione, storia e, ovviamente, amore. Il filo della memoria si è teso fino a congiungersi alle personali preoccupazioni di un neo-padre (l’autore), che desiderava offrire al figlio in fasce la prospettiva di un mondo migliore. Ed ecco quindi il bisogno di interrogarsi su cosa sia la carne, perché nutrire tuo figlio non è come nutrire te stesso, è molto più importante.
La scrittura, seppur su un tema così duro, riesce a essere contemporaneamente intima (quasi Foer prendesse appunti sul suo diario), puntuale (come il taccuino di un ricercatore), a tratti persino ironica e leggera. Quello che ne risulta è un libro densissimo, che offre ai suoi lettori, con la limpidezza di una radiografia, la possibilità di vedere concretamente i limiti del sistema alimentare, politico, economico e persino sanitario della società americana. C’è da chiedersi quanto possano sentirsi sollevati gli europei…
Ciò che di Foer colpisce è che non cede mai a sentenziare sulla bontà di una scelta alimentare vegetariana. La decisione di non mangiare gli animali è necessaria per me, ma è anche circoscritta e personale. Prevale piuttosto in lui il bisogno di documentarsi sulla verità e condividerla col lettore.
In tutto il libro trasuda l’esigenza dell’autore di confrontarsi con le due facce della medaglia: da un lato il sistema degli allevamenti intensivi, dall’altro le piccole aziende a conduzione familiare che rischiano di essere strangolate da quel sistema. In questo viaggio attraverso lo squallore e la desolazione che spesso sottendono al ciclo alimentare del nostro tempo, non possono che guadagnarne gli animali, persino quelli di allevamento, la cui vita e la cui morte assumono, finalmente, una rilevanza etica.
Da qui la necessità che le sorti di questi ultimi non finiscano nel dimenticatoio, che non vengano più ignorate quasi a voler applicare, anche in questo caso, l’assunto “la legge non ammette l’ignoranza”!