Se mai vi dovesse capitare l’occasione di vedere uno spettacolo di Nekrošius, non perdetela. È ciò che ho detto a quanti mi chiedevano un commento sapendo che avevo trascorso quasi 5 ore a teatro come spettatrice del suo Idiotas, ispirato naturalmente al romanzo di Fëdor Dostoevskij.
Avevo già sentito parlare del regista lituano, ma in genere non presto eccessiva attenzione se mi manca l’esperienza diretta. “Il riallestimento di Idiotas, vero e proprio evento del teatro mondiale” diceva il comunicato stampa del Mittelfest, meraviglioso festival di prosa, musica, danza, poesia e marionette dell’Europa centro orientale che si tiene a luglio tra Cividale del Friuli, Udine e Gorizia. “Il più enigmatico regista della nuova Europa, l’amatissimo e pluripremiato Eimuntas Nekrošius, sposa il mistero del più spirituale tra i romanzi di Dostoevskij in un allestimento leggendario, dove l’interpretazione emozionale e plastica degli attori si riflette nella vita che acquistano perfino gli oggetti in scena. Ci sono spettacoli che si possono raccontare, altri che si devono semplicemente vedere”. Una presentazione tanto impegnativa da farmi quasi dubitare. Non credevo, rileggendola anche a distanza di tempo, di poter essere completamente d’accordo, e con tanto entusiasmo.
Lo spettacolo è stato inserito nel cartellone di prosa di Mittelfest 2010 dedicato appunto a Dostoevskij, scrittore che più di ogni altro ha scelto di indagare la lacerazione umana tra Bene e Male, con incandescenza spirituale, follia inventiva e una verticalità che ancora oggi lasciano stupefatti. Non so se ci avete mai fatto caso, ma raramente capita che gli adattamenti, teatrali e non, delle opere di Dostoevskij – si potrebbe dire lo stesso per Shakespeare, ma non mi azzarderei ad aggiungerne molti altri – siano totalmente deludenti. Se non altro perché, per dirla con un luogo comune, brillano di luce riflessa. Nel caso di Idiotas, però, si tratta di qualcosa di meglio che di un banale mettere in scena i dialoghi. Lo spettacolo è, a sua volta, una vera e propria opera d’arte. Nekrošius traduce – dalla letteratura al teatro – ricreando, come se avesse lavorato sì sul testo, ma attingendo direttamente a una fonte più profonda. Come se avesse accesso alle stesse porte che si aprono sull’universale e fosse capace poi di offrirlo al mondo con originalità, attraverso un processo di rielaborazione viscerale. Fa sua la materia viva e le trova una nuova forma, vibrante di fresca grandezza e profondità.
Grandissima è l’attenzione al ritmo dei movimenti di scena e ai suoni. Sono una vera e propria colonna sonora che non accompagna soltanto, ma che si integra nel tessuto narrativo teatrale, alleggerendo alcuni momenti e drammatizzandone altri, dilatando l’intensità emotiva del personalissimo linguaggio del regista. Come ad esempio i martelli che diventano picchi: un semplice incanto. L’uso estremamente inventivo che viene fatto degli oggetti è una costante che non smette di affascinare lo spettatore. Concerti di ticchettii, serenate di voci stridenti, amplificazioni che intensificano ulteriormente la potenza dei dialoghi, come fossero una seconda partitura di scena. “Matta” echeggia potentemente in sala quando il personaggio urla in una surreale cornetta spuntata nel mezzo del palcoscenico. Ferisce quasi le orecchie e porta con sé tutto il peso che può avere una parola. Per non parlare del patrimonio simbolico a cui il regista attinge. Da una passione quasi mistica che non riguarda solamente il protagonista – al quale viene esplicitamente riferita la figura di Cristo – ma addirittura la ben più controversa figura femminile di Nastasja. Una forte pulsione erotica scaturisce dal conflitto – poi svuotato di significato – generato dall’incontro dell’innocenza con l’impuro. Una pulsione che si alimenta di angoscia e vitalità, che sopravvive sino a quando la violenza mette a tacere la libertà. Per non parlare della ricchezza delle suggestioni visive che lo spettacolo regala. Ci sono dei momenti scenografici di pura poesia. Lo stile compositivo è immaginifico, elegante, onirico. Alcuni quadri visivi sono di una bellezza che sfiora la commozione. Altri offrono una sintesi drammaturgica che oserei definire perfetta. Come la scena del velo di Nastasja Filippovna che viene violentemente bloccato nel terzo atto. Sono scelte di geniale sensibilità, che danno alla rappresentazione un tocco dolce e brutale allo stesso tempo.
Per non parlare della bravura degli attori. È impossibile dimenticare l’intensità dello sguardo di Nastasja. E la varietà espressiva che colora il limpido viso del principe Myškin, restituendoci tanto fedelmente le tinte delle sue gioie e dei suoi turbamenti. Ma non basta elencare il telento dei singoli, la loro eccellente capacità di interpretazione. C’è di più. Lasciandosi coinvolgere nel loro universo recitativo, si intuiscono le tracce di un lavoro che è facile indovinare sia stato estremamente meticoloso e profondo.
Ogni attore esprime con il corpo tutto l’anima profonda del personaggio che interpreta. È in atto una comunicazione fisica totale, che passa attraverso il viso, le movenze, lo stare in scena in un determinato modo, la ripetizione di alcuni movimenti che diventano un marchio di identità.
La tensione drammaturgica viene dosata alla perfezione attraverso il tendersi e rilassarsi dei corpi come fossero corde di violino. L’andamento della rappresentazione è in qualche modo atipico. Non si arriva all’apice nel finale ma prima, nel terzo atto (ce ne sono quattro). C’è un crescendo di tensione che poi precipita nel vuoto dell’ultimo atto, una sorta di spazio di decompressione, che lascia metabolizzare l’intensità simbolica di ciò che si è vissuto prima.
Essere spettatori di Idiotas è un’esperienza teatrale in senso lato, non significa semplicemente assistere ma farsi coinvolgere in una raffinatissima danza dello spirito. Lo spettacolo pare realizzato come un componimento di suoni e immagini, una poesia dedicata al teatro e alla complessità della natura umana.
Ripeto: se mai vi dovesse capitare l’occasione, non perdetevi uno spettacolo di Eimuntas Nekrošius.