Correva l’anno 1996 quando due ragazzi, Beniamino Saibene e Lorenzo Castellini, decisero di organizzare una giornata di proiezioni cinematografiche di film indipendenti in città. Quindici anni dopo, quella manifestazione chiamata Milano Film Festival è diventata uno degli appuntamenti più seguiti della città. In questa edizione del 2010, oltre ai premi per il miglior lungometraggio e cortometraggio, diciannove sono stati gli eventi in programma. Tra i più interessanti, l’omaggio alla “Mir” con i film più importanti prodotti e distribuiti dalla casa milanese (tra cui Anima Mundi di Godfrey Reggio) , la retrospettiva Tutte le valigie su Jim Jarmusch e la proiezione dei film di Peter Watkins, maestro marginalizzato dalla distribuzione ma dotato di grande sensibilità: particolarmente apprezzabile la sua feroce critica ai media e allo standard dell’industria, la “monoforma”. Interessante anche lo spazio dedicato alle opere di critica politica, intitolato “Colpe di Stato”, e, ovviamente, le tanto attese anteprime nazionali di “Socialisme” di J.P. Godard e “Chantrapas” di Otar Ioseliani.
Vince il Sudafrica
Ad aggiudicarsi il “Miff Award” come miglior lungometraggio è stato On the Other Side Of Life degli esordienti Stefanie Brockhaus e Andy Wolf, che hanno deciso di occuparsi della vicenda del Sudafrica seguendo le vicende di due adolescenti, Lucky e Bongani, che vivono in una periferia di Città del Capo. Girato nello stile documentaristico, il film racconta l’amara storia di due ragazzi dalla vita comune nella baracca, all’accusa di omicidio e i giorni passati in carcere, fino al ritorno alle origini del rito d’iniziazione verso l’età adulta, celebrato tra le montagne di Eastern Cape con gli anziani della comunità. Un film che ha il pregio di raccontare un Sudafrica diverso, dopo la metafora della segregazione razziale di District 9 e il punto di vista politico di Invictus. Un’idea che ha convinto la giuria, ma sicuramente l’attualità dell’argomento ha giocato molto in favore del duo tedesco. Documentario ben girato tecnicamente, ma le scene in molti casi sembrano mancare di spontaneità, alcuni dialoghi sembrano scritti e recitati e si sente pesantemente la presenza della macchina da presa: grossa pecca per il genere.
“Mio amato” cinema italiano
Il premio come miglior cortometraggio è invece andato all’italiano “Habibi” (“mio amato” in arabo) del regista triestino Davide Del Degan. Girato in Libano, è una favola nera sulla tragedia dei bambini in guerra che ha il pregio di saper raccontare la vicenda in modo universale, facendosi metafora dell’esistenza stessa attraverso ambientazione e lingua inventate, senza tempo né spazio. Un corto raffinato che mostra l’abilità di Del Degan di padroneggiare i diversi registri, sapendo alternare momenti divertenti a scene ad alta tensione. Un film sui sogni e sulla crescita, sul passaggio dall’infanzia all’età adulta. Il pluripremiato regista triestino dimostra che c’è uno spiraglio di luce nel futuro del cinema italiano indipendente che, anche in questo festival, ha purtroppo messo in mostra qualità tecniche e artistiche spesso visibilmente inferiori a quelle dei colleghi europei. Una mancanza soprattutto di idee nei volenterosi filmaker che si nota anche nella coraggiosa rassegna del “Salon des Refusees”, un angoletto di Parco Sempione dove sono stati proiettati i film scartati dal Milano Film Festival. È solo la conferma che per fare “cinema” non basta avere una videocamera. La penuria tecnica e artistica in questo caso non merita commenti, ma va anche detto che, proprio per spirito dell’iniziativa, non c’è nessuna selezione.